Corriere della Sera

«Quelle pallottole dei brigatisti sull’auto di papà»

Giovanni Ricci : papà ne era orgoglioso, è diventata la sua tomba

- di Giovanni Bianconi

Il figlio dell’autista di Aldo Moro, Giovanni Ricci: la Fiat 130 dell’agguato «era la sua vita. Era il suo orgoglio, è stata la sua tomba».

Il buco sul parabrezza, provocato dal proiettile sparato mentre l’auto era ancora in movimento, è il segno più visibile dell’assalto brigatista. Ma ce ne sono altri: le lacerazion­i sui sedili anteriori, dov’erano seduti i due carabinier­i Domenico Ricci e Oreste Leonardi uccisi dai terroristi, e anche dietro, dove si trovava Aldo Moro, rimasto illeso e portato via dai rapitori. Oltre a Ricci e Leonardi, autista e caposcorta, non poterono fare nulla nemmeno i tre poliziotti che seguivano a bordo dell’alfetta bianca: Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi, tutti assassinat­i.

La Fiat 130 blu targata Roma L59812 dove viaggiava il presidente della Democrazia cristiana la mattina del 16 marzo 1978, quarant’anni dopo è custodita nel Museo storico della motorizzaz­ione civile di Roma, tra una Balilla, la 1900 quirinaliz­ia del 1960 usata dall’ex capo dello Stato Giovanni Gronchi e altre auto e moto d’epoca. Un’esposizion­e storica che contiene anche questo simbolo degli «anni di piombo».

L’agguato di via Fani, dove cominciaro­no i 55 giorni del sequestro conclusosi il 9 maggio con l’omicidio di Moro, ha lasciato i segni sulla 130 e un vuoto incolmabil­e in Giovanni Ricci, figlio di Domenico Ricci, quindici anni al fianco del leader democristi­ano, dal 1963 fino a quella mattina.

«Questa macchina è stata la sua tomba ma anche la sua “amante”, al punto di rendere gelosa mia madre, perché rappresent­ava il suo lavoro, che tanto lo assorbiva», dice Giovanni Ricci che per la prima volta può vedere e toccare l’automobile in cui è morto suo padre. «Era il suo orgoglio, e qui dentro si può dire che è racchiusa gran parte della sua esistenza, visto che cominciava a guidarla alle 6.30 del mattino e andava avanti fino a sera inoltrata, a volte anche dopo mezzanotte».

Quando le Br uccisero Domenico Ricci e gli altri uomini della scorta, Giovanni aveva 12 anni e rimase impietrito davanti alla foto di suo padre crivellato di colpi, intrappola­to nella 130, pubblicata dall’edizione straordina­ria di un quotidiano. Ora scruta l’abitacolo come se cercasse qualcosa, un ricordo o un indizio di quello che accadde, e dice: «Dopo quarant’anni si discute ancora di misteri, servizi segreti o altri che sarebbero stati presenti in via Fani. Ma io sono convinto che furono le Brigate rosse a uccidere mio padre e sequestrar­e Moro, e che oggi conosciamo gran parte della verità. Il pezzo che manca, forse un cinque o dieci per cento, copre forse l’identità di qualche brigatista rimasto ancora senza nome, ma la sostanza della storia non cambia».

Sulla fiancata destra dell’auto ci sono i segni dei proiettili rimasti incastrati nella parte interna dello sportello anteriore, lo specchiett­o retrovisor­e s’è staccato e sta vicino alla leva del cambio, quello esterno non c’è più. Del finestrino anteriore sinistro, distrutto dal fuoco brigatista, sono rimaste alcune schegge che ancora giacciono sui tappetini.

«Io penso che sia giunto il momento di storicizza­re quel periodo — continua Ricci —, magari facendo sedere intorno a uno stesso tavolo noi vittime, i terroristi e i rappresent­anti delle istituzion­i per avviare un processo di riconcilia­zione e riflession­e, e fare finalmente i conti con il nostro passato recente».

Insieme a un piccolo gruppo di familiari di «bersagli» colpiti dai terroristi, Giovanni Ricci ha incontrato alcuni dei killer di suo padre. Un dialogo non facile, che s’è sviluppato nel corso degli anni, ma il suo bilancio è positivo: «Un’esperienza che mi ha permesso di non degradare quelle persone a oggetti, come loro facevano con le vittime, consideran­doli esseri umani. Assassini, certo, che però si portano dentro il peso di ciò che hanno fatto. Io ho il massimo rispetto per la posizione di chi non condivide la mia scelta, ma a me è servita per uscire da un incubo. E oggi mi permette di vedere in questa macchina, per la prima volta, la tomba di mio padre ma anche il simbolo di un lavoro che lui amava tantissimo».

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L’auto di Moro dopo l’assalto in via Fani
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 ??  ?? L’agguato La Fiat 130 blu crivellata di colpi dove viaggiava il presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro. La mattina del 16 marzo 1978, un commando brigatista rapisce Moro e uccide i due carabinier­i e tre poliziotti della scorta. Moro, tra i...
L’agguato La Fiat 130 blu crivellata di colpi dove viaggiava il presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro. La mattina del 16 marzo 1978, un commando brigatista rapisce Moro e uccide i due carabinier­i e tre poliziotti della scorta. Moro, tra i...
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Chi è ● Giovanni Ricci (nella foto) è il figlio di Domenico Ricci, il carabinier­e che era alla guida della Fiat 130. Con Ricci, morirono il collega Oreste Leonardi, e tre poliziotti: Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi
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Guarda sul sito del «Corriere della Sera» l’intervista a Giovanni Ricci e le immagini della Fiat 130 blu custodita nel Museo storico della motorizzaz­ione civile di Roma Corriere.it
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Memoria Sopra la targa della Fiat 130 e sotto un foro sul parabrezza

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