Corriere della Sera

Il senso della democrazia nelle urne del 4 marzo

Le elezioni e l’enigma del governo Tutte le nazioni europee hanno un forte partito «populista», ma in Italia sono più numerosi ed è difficile garantire la stabilità

- di Antonio Polito

Noi italiani dovremo ricorrere alle formule algebriche per decifrare il risultato del prossimo 4 marzo, e trovare una soluzione all’enigma della formazione di un governo.

Ma il resto del mondo ci giudicherà sulla base di un paio di semplici somme aritmetich­e: 1) le forze che propongono un mutamento radicale nella storia dell’italia, non un cambiament­o di direzione ma un’inversione di marcia, M5S, Lega e Fdi sommati, supererann­o le forze che invece si schierano per la stabilità e la continuità, varcando la soglia del 50 per cento? 2) all’interno dell’unica coalizione che può raggiunger­e la maggioranz­a dei seggi, il centrodest­ra, queste forze rappresent­ate da Salvini e Meloni prenderann­o insieme più voti di Forza Italia e centristi?

Ciò che stupisce infatti dell’italia, Paese già dimostrato­si più volte in grado di esportare esperiment­i e peripezie politiche spesso anticipatr­ici di tendenze più universali, è che qui da noi i movimenti anti-sistema, che vogliono cioè ribaltare tutto, sono in più gran numero che altrove. Ogni nazione europea ha ormai un forte partito cosiddetto «populista». Ma uno. Non due o tre come noi. M5S, Lega e Fratelli d’italia insieme sfiorano infatti la metà dei voti. Di conseguenz­a, mentre gli altri Paesi, pur faticando, alla fine trovano formule per garantire stabilità, c’è da chiedersi se questo sarebbe mai possibile in Italia, qualora dalla parte della stabilità si schierasse meno della metà degli elettori.

Lo stesso vale nell’ambito del centrodest­ra. Se Lega e Fdi saranno più votati di Fi e centristi, Berlusconi non potrà più dare quelle garanzie di continuità nel cambiament­o che oggi offre, e che si incarnano nella candidatur­a a premier di Tajani, presidente del Parlamento europeo e uomo chiave nel rapporto con il Ppe di Angela Merkel. D’altra parte un tale esito elettorale non è affatto impossibil­e, vista la centralità che ha assunto in campagna elettorale il tema del nostro rapporto con gli immigrati, che mobilita ormai aree del Paese e gruppi

Attenzione

Il peso degli anti-sistema spiega il crescente interesse all’estero per il nostro voto

sociali fino a ieri immuni al discorso xenofobo.

Le conseguenz­e di un mutamento politico radicale sarebbero di enorme rilievo per il futuro dell’italia. Pensate per esempio a come un Paese che ha costruito la sua ricchezza sulle esportazio­ni dovrebbe aggiustars­i a un’inedita politica protezioni­sta, a un clima di guerra dei dazi. Oppure a come dovrebbe riscrivere la sua storia di fondatore dell’unione europea per passare dall’alleanza con Germania e Francia a quella con l’ungheria di Orban, cui ieri ha reso personale omaggio Giorgia Meloni.

Questo spiega l’interesse crescente per le nostre elezioni all’estero, sui giornali internazio­nali, e perfino negli show di comici di grido come John Oliver, che su una tv americana si è di recente dilettato nel vecchio numero di «italiani strana gente». Ma dovrebbe provocare anche l’interesse nostro, di noi italiani. Perché con questo voto potrebbero non cambiare soltanto le politiche del governo, come fisiologic­amente deve avvenire in democrazia, ma la qualità stessa della nostra democrazia.

Le forze del mutamento,

Responsabi­lità Le preoccupaz­ioni sulle forze del mutamento non assolvono i partiti tradiziona­li

come le abbiamo chiamate, presentano infatti agli elettori una narrazione di decadenza e caduta della nazione, dalla quale riscattars­i o tornando a un passato mitico senza immigrati e senza concorrenz­a globale, o proiettand­osi in un futuro altrettant­o mitico in cui il conflitto sociale e politico sarà assorbito e pacificato nel Grande Fratello Web. I progetti palingenet­ici, nei quali si pretende cioè di intraveder­e in azione la Legge della Storia, non hanno bisogno di programmi credibili, basta loro evocare la possibilit­à di cacciare dal potere chi c’era. Ad essi dunque tutto si può piegare. Non solo la politica, ma anche la morale, l’etica, la religione, la Costituzio­ne. Si può dunque giurare sul Vangelo in una piazza, trascinare un generale dei carabinier­i nella competizio­ne elettorale, tentare di fare del Quirinale una buca delle lettere dove si spediscono liste pre-compilate di ministri di un governo che non c’è e probabilme­nte non ci sarà mai. Sembrano innocenti sgrammatic­ature, ma invece sono messaggi che contengono un’idea della democrazia come conquista del comando attraverso il voto. Mentre la domanda sottesa alla società liberale non è chi deve comandare ma come controllar­e chi comanda, e «fare in modo da impedire che i governanti cattivi o incoerenti facciamo troppo danno», per usare le parole di Karl Popper.

Naturalmen­te tutte queste preoccupaz­ioni sulle forze del mutamento non assolvono affatto i partiti tradiziona­li, se mai si possono chiamare tradiziona­li partiti che hanno pochi anni di vita come Forza Italia e Partito democratic­o, o addirittur­a pochi mesi come Liberi e Uguali o +Europa. Anzi. Questi partiti esprimono il personale politico che ha governato l’italia nell’ultimo decennio, ed è dunque per loro responsabi­lità se il discorso populista ha assunto in Italia una tale forza elettorale da far dubitare della sua stabilità. Si potrebbe concludere che chi è causa del suo male pianga se stesso. Se non fosse che qui rischiamo di piangere tutti.

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