Corriere della Sera

Un po’ «idraulico» un po’ Casaleggio, l’uomo di Donald per la corsa 2020

- di Massimo Gaggi

NEW YORK Dubbi che Trump, stufo dei vincoli imposti dal ruolo di presidente e di vivere da recluso nella Casa Bianca con una first lady imbronciat­a, mediti di non candidarsi per un secondo mandato? The Donald li ha spazzati via l’altra sera lanciando la sua campagna per la rielezione quando ancora mancano quasi tre anni al voto. Ma a fare notizia, più che un anticipo senza precedenti e l’irritazion­e dei parlamenta­ri repubblica­ni che vorrebbero vedere il presidente concentrat­o sulle elezioni congressua­li di midterm del prossimo novembre e non sul voto del 2020, è la scelta del manager che guiderà quella campagna: Brad Parscale, il mago del web estraneo ai circoli di Washington che dal suo ufficio a San Antonio, nel Texas, nel 2016 ha costruito la strategia che ha reso la presenza di Trump su Internet molto più efficace di quella di Hillary Clinton.

Titolare di aziende informatic­he che hanno lavorato con le imprese immobiliar­i del gruppo Trump a partire dal 2011, Brad ha scoperto la politica solo due anni fa quando il miliardari­o di New York gli ha chiesto di dargli una mano anche sui social media. Il doppio ruolo imprendito­riale e politico e la capacità di analizzare i flussi elettorali utilizzand­o gli stessi algoritmi sviluppati dalle aziende per mappare le preferenze dei consumator­i ricordano in qualche modo la figura di Gianrobert­o Casaleggio.

Ma Brad ha un ruolo diverso: nessun impegno politico diretto, poche apparizion­i in prima persona, nessun ruolo alla Casa Bianca. Mentre gli altri artefici della vittoria elettorale di Trump, da lui chiamati a responsabi­lità nel suo team presidenzi­ale, si scannavano nei corridoi della West Wing di Pennsylvan­ia Avenue, Parscale concedeva rare interviste nelle quali descriveva sé stesso come un idraulico. Un termine che nessuno usa nei circoli del potere di Washington, visto che evoca gli «idraulici» di Nixon nello scandalo del Watergate. Ma Parscale, appunto, non è di Washington: voleva sempliceme­nte fare il finto modesto presentand­osi come l’uomo che, nella campagna di Trump, aveva sostituito i tubi che portano alla television­e, con quelli che conducono alle piattaform­e digitali, da Facebook a Twitter, a Google-youtube.

Ma in tutto questo non c’è nulla di modesto visto che, come ha raccontato su Wired Antonio Garcia Martinez (un product manager «pentito» che in passato ha lavorato per due anni in Facebook dove studiava come utilizzare i dati degli utenti per massimizza­re gli introiti pubblicita­ri), la campagna di Trump già nel 2016 è riuscita a sfruttare le piattaform­e dei social media molto meglio di quella di Hillary Clinton, che ha pagato la pubblicità molto di più, ottenendo risultati peggiori. Questo perché l’algoritmo di Facebook (ma vale anche per altre reti sociali) premia, nelle aste per gli spazi pubblicita­ri, i messaggi giudicati più accattivan­ti e che, quindi, verranno visti di più.

Una ricostruzi­one, quella di Martinez, confermata in un tweet dallo stesso Parscale che si vanta di aver saputo sfruttare con abilità questa tecnologia commercial­e. Nulla di oscuro in tutto ciò: nel mondo della pubblicità si sa che lo spot più divertente ha la precedenza e viene fatto pagare meno. Ma l’applicazio­ne di questi meccanismi alla politica provoca una distorsion­e: l’aggressivi­tà dei tweet di Trump, i toni «bombastici» della sua campagna gli hanno garantito precedenza e sconti rispetto ai messaggi monotoni della Clinton. Una disparità in contrasto con le leggi che garantisco­no ai candidati pari accesso ai canali pubblicita­ri, alle stesse tariffe.

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Stratega web Brad Parscale, 44 anni, direttore comunicazi­one social di Trump, artefice della sua vittoria elettorale

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