L’opera comica che rievoca la tradizione
Al netto delle scelte estetiche e linguistiche, improntate a un tradizionalismo su cui si discuterebbe all’infinito, l’ultima opera di Marco Tutino raggiunge gli esiti sperati. Soddisfa cioè la platea di un teatro che torna a investire sul teatro musicale di oggi e che dà credito all’idea di un’opera comica, cioè a dire di una vera e propria scommessa.
Il soggetto è Miseria e nobiltà: parte dunque dal teatro (Scarpetta), passa dal cinema (Totò) e arriva, in una forma necessariamente ridotta all’osso, all’opera. E compiace la platea perché il buon artigianato che si richiede a un’opera che si richiama alla tradizione, Tutino lo garantisce in una misura decisamente superiore a quella degli anni ottanta e novanta, quando operazioni del genere rientravano di default nell’ottica del Neoromanticismo. Ecco allora la buona melodia quando occorre. Ecco i ritmi di danza che non guastano, una vocalità scaltra e un’ottima orchestrazione. Ecco soprattutto, nel rievocare il glorioso passato, da Rossini a Stravinskij, quel sesto senso teatrale che a Tutino riconoscono anche i detrattori, complice un libretto, di Luca Rossi e Fabio Ceresa, oggettivamente ben formulato.
Gli interpreti inoltre — i protagonisti vocali sono Alessandro Luongo, Valentina Mastrangelo e Martina Belli — fanno la loro parte con disinvoltura, diretti con mano sicura dal giovane Francesco Cilluffo, mentre la regia di Rosetta Cucchi valorizza quella Napoli ormai leggendaria senza indulgere nella tentazione di cinematografare il teatro.