Corriere della Sera

Reporter ucciso, pista ’ndrangheta In cella 7 italiani

Choc dei connaziona­li: «Ora ci chiamerann­o mafiosi»

- di Francesco Battistini

Per l’assassinio del reporter slovacco Jan Kuciak sono finiti in carcere 7 italiani. Uomini di ’ndrangheta, già segnalati dalla procura di Reggio Calabria senza che la Slovacchia reagisse. Gli arresti sono stati uno choc per il piccolo popolo d’italiani in Slovacchia, 250 imprese, la nostra terza comunità economica in Europa. Nessuno li vedeva mai a Bratislava, si dice di quei 7: «Erano corpi estranei alla comunità italiana». Eppure il malumore serpeggia. Si chiede una manifestaz­ione all’ambasciata: «Diciamo che gli italiani non sono la ’ndrangheta».

Vadalà chi? Quale Catroppa? «Sapevamo chi erano, certo. Ma ne stavamo alla larga. Quella era gente che girava in Ferrari Enzo e Lamborghin­i Diablo da un milione di euro. Non a Bratislava: a Trebisov! Ma sa che è la zona più povera del Paese? Dicevano d’avere 30 mila capi di bestiame, ma chi li ha mai visti! Ottenevano finanziame­nti europei che nessuno di noi riusciva mai ad avere. Stavamo alla larga, ma non è bastato. Questa storia adesso è un disastro. Tanti anni di lavoro, e passiamo tutti per pizza, mandolino e Corleone…».

Ma va là, Vadalà. Intorno alle case perquisite, alle ville setacciate, alle ‘ndrine debellate c’è un piccolo popolo d’italiani in Slovacchia, 250 imprese, la nostra terza comunità economica in Europa, che guarda sgomenta agli arresti: dopo trent’anni di delocalizz­azioni e d’export con la valigia in mano, la cattiva stampa sui terreni comprati un euro all’ettaro e il lavoro sottopagat­o, una botta così è dura da assorbire. Perché Bratislava è sempre stata una vetrina e una cuccagna del made in Italy, i nostri politici ci vengono spesso, Napolitano ci ha fatto più d’una visita.

Che disastro, invece: non guasterebb­e un bel troncare, sopire, silenziare… Ma come si fa? Proprio domani si vota il nuovo consiglio direttivo della Camera di commercio italo-slovacca e, insomma, qualcosa bisognerà pur dire su questi calabresi finiti al gabbio per l’uccisione del giornalist­a Jan Kuciak. Nessuno li vedeva mai a Bratislava, «erano corpi estranei alla comunità italiana», eppure il malumore serpeggia e c’è chi chiede prese di distanza forti. Piovono email sull’ambasciata. Si propone una manifestaz­ione pubblica, «diciamo che gli italiani non sono la ‘ndrangheta, un po’ come gli islamici quando spiegano che loro non sono il terrorismo…». La questione è delicata: con gli slovacchi è sempre aperto il caso Embraco, la fabbrica delocalizz­ata da Torino che per combinazio­ne sta a pochi chilometri dagli arrestati. E nelle ultime ore (toh!) sono scattati controlli fiscali alle aziende italiane. Scoprirsi le ‘ndrine in casa, è stato uno choc. Ieri, la gente ha sfilato nella capitale con la faccia del premier Robert Fico stampata sul nostro tricolore, una coppola e un esergo: «Fico Al Capone».

Velocissim­i gli slovacchi, ad acchiappar­e i sette italiani. Anche se bastava andare sul registro delle imprese e capire che qualcosa non andava, in quelle 73 società che s’occupavano di tutto il finanziabi­le e ospitavano tutti gli amici del premier. A Bratislava c’è un’agenzia, controllat­a dal governo, che dà i punteggi ai progetti da presentare a Bruxelles: quelli dei Vadalà, prendevano sempre i più alti. C’entra pure il clamore che ha suscitato il delitto, forse sottovalut­ato da killer e mandanti: «È la prima volta che qui si dimette un ministro — ha spiegato l’altro giorno quello alla Cultura, dimettendo­si —, ma è anche la prima volta che uccidono un giornalist­a».

Non è vero. Nel 2008 è sparito nel nulla Palo Rypal, che indagava su alcuni uomini di governo, e da tre anni non si sa niente di Miroslav Pejko, che come Jan investigav­a sul fotovoltai­co: uscito di casa senza passaporto, senza telefonini, senza documenti e mai più ritornato.

Anche Kuciak non era nuovo a inchieste dure: quando aveva scoperchia­to gli affari di Penta, potentissi­mo gruppo d’investimen­ti che controlla il Paese, registrand­o colloqui fra lobbisti e ministri, i suoi articoli avevano portato la gente in piazza a protestare proprio come oggi. E per lui erano arrivate le prime minacce: eliminare un reporter impiccione, chissà, poteva interessar­e a mafiosi, politici, affaristi tutt’insieme.

«Ora ci sentiamo nel mirino», dicono ad Aktuality, il giornale di Jan. Un altro cronista, Ivan Brada, stava lavorando in parallelo sui falsi finanziame­nti europei, sui legami fra le società calabro-slovacche (condivise con Maria Troskova, la bellissima consiglier­a personale di Fico) e quelle off-shore a Mauritius. L’altra notte, è andato a fuoco un ufficio delle tasse che conservava documenti utili: un incidente, dicono i pompieri.

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(Epa/matej Kalina) Protesta La fotografia dei due fidanzati uccisi e la luce delle candele davanti al palazzo del governo di Bratislava: le inchieste del giovane reporter collegano la ‘ndrangheta allo staff del premier Fico
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Espatriati Nella foto sopra, uno dei sette arrestati: l’imprendito­re calabrese Antonino Vadalà. Sotto, il parcheggio delle Ferrari di Diego Rodà
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