Di male in seggio
Per andare a votare bisogna averne più voglia che nausea, ma non basta. Bisogna aprire la scheda e capirci qualcosa senza un enigmista di sostegno, ma non basta. Perché prima bisogna raggiungere il seggio, e non è così semplice. Ci sono i disabili, costretti a sciropparsi rampe di scale. E i fuori sede, dissuasi da un sistema di trasporti che ha perfezionato la sua capacità di rendere isterico anche il maestro Yoda. Ci sono, soprattutto, gli anziani. Il Paese invecchia a vista d’occhio e ogni famiglia schiera ai nastri di partenza almeno un elettore ancora mentalmente lucido, ma arrugginito nelle articolazioni. La «Nuova Sardegna» ha raccolto il grido di dolore della nipote di un novantaseienne, lo zio Mario. Il pover’uomo non esce di casa da mesi. Ma poiché — trascinando una gamba ormai inservibile e dribblando in salotto la moglie in sedia a rotelle — è riuscito ad aprire la porta al medico della Asl, per lo Stato italiano è equiparabile a un diciottenne. Domani dovrà raggiungere l’autobus senza schiantarsi, sobbalzare per due chilometri senza perdere l’appiglio, scalare un paio di piani senza ascensore e accasciarsi nell’urna senza un lamento.
Naturalmente non lo farà, rinunciando a malincuore a esercitare il suo diritto. Perché in Italia si possono spostare soldi e ricevere pizze a domicilio con un clic. Ma per votare è ancora necessario andare là dove manderei volentieri tanti nostri legislatori: a scuola.