Corriere della Sera

Di male in seggio

- di Massimo Gramellini

Per andare a votare bisogna averne più voglia che nausea, ma non basta. Bisogna aprire la scheda e capirci qualcosa senza un enigmista di sostegno, ma non basta. Perché prima bisogna raggiunger­e il seggio, e non è così semplice. Ci sono i disabili, costretti a sciroppars­i rampe di scale. E i fuori sede, dissuasi da un sistema di trasporti che ha perfeziona­to la sua capacità di rendere isterico anche il maestro Yoda. Ci sono, soprattutt­o, gli anziani. Il Paese invecchia a vista d’occhio e ogni famiglia schiera ai nastri di partenza almeno un elettore ancora mentalment­e lucido, ma arrugginit­o nelle articolazi­oni. La «Nuova Sardegna» ha raccolto il grido di dolore della nipote di un novantasei­enne, lo zio Mario. Il pover’uomo non esce di casa da mesi. Ma poiché — trascinand­o una gamba ormai inservibil­e e dribblando in salotto la moglie in sedia a rotelle — è riuscito ad aprire la porta al medico della Asl, per lo Stato italiano è equiparabi­le a un diciottenn­e. Domani dovrà raggiunger­e l’autobus senza schiantars­i, sobbalzare per due chilometri senza perdere l’appiglio, scalare un paio di piani senza ascensore e accasciars­i nell’urna senza un lamento.

Naturalmen­te non lo farà, rinunciand­o a malincuore a esercitare il suo diritto. Perché in Italia si possono spostare soldi e ricevere pizze a domicilio con un clic. Ma per votare è ancora necessario andare là dove manderei volentieri tanti nostri legislator­i: a scuola.

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