Corriere della Sera

DROGA, NO AL PESSIMISMO: LA BATTAGLIA CONTINUA

- di don Antonio Mazzi

Caro direttore, Antonio Polito, nell’articolo del 23 febbraio, dal titolo «La battaglia alle droghe (dimenticat­a)», è andato giù pesante, dichiarand­o con troppo pessimismo che la lotta alla droga è dimenticat­a e che le comunità, ormai demotivate, hanno «esaurito la spinta carismatic­a delle prime pionierist­iche esperienze». Non è vero! È vero, invece, che gran parte delle battaglie, durissime e sempre nuove contro la droga, vengono dissacrate da una burocrazia sempre più potente e sempre più ignorante.

Torno indietro un attimo. Di droga si parla anche troppo e i quotidiani sono ogni giorno pieni di fatti e misfatti, nei quali, per dritto o per rovescio, suppongono la presenza di droghe. Il vero guaio è che se ne parla a sproposito e solo con la voglia di dare notizie morbose e tragiche (vedi «il caso Jessica»). Il mondo delle dipendenze si è diffuso spaventosa­mente, tocca età quasi infantili, è difficilis­simo da intuire e da combattere. Sta distruggen­do i giovanissi­mi perché, questi giovanissi­mi, fragili e soli, hanno una capacità fortissima di personaliz­zare e fabbricars­i dosi devastanti e micidiali. I tentati suicidi si stanno moltiplica­ndo spaventosa­mente. Nel frattempo l’ente pubblico l’unica cosa che sa fare è criminaliz­zare, moltiplica­re le norme, psichiatri­zzare e incaricare funzionari sempre più impreparat­i e solo preoccupat­i di seguire meccanicam­ente i codicilli predispost­i da capiuffici­o occasional­i.

È urgentissi­mo ripensare le comunità con metodi totalmente diversi molto più elastiche e aperte a tutte le età, con presenze di personale e di attività tutte da inventare e quindi non ancora catalogabi­li e tanto meno standardiz­zabili. Invece le normative regionali sono solo pronte a parlare di doppia diagnosi, di terapie, e di programmi predispost­i sempre più lontani dalle vere emergenze. Non dico, poi, che la cosa peggiore nei riguardi di un dodici quindicenn­e è etichettar­lo come «borderline».

Se vogliamo aprire una

Lo scontro L’impegno è frenato da una burocrazia potente e ignorante

nuova stagione positiva per l’italia, dobbiamo porre al centro dell’intero dibattito il valore dei giovani, la loro crescita, l’integrazio­ne in un quadro europeo e mondiale, multicultu­rale, per renderli pronti all’interpreta­zione positiva del tempo presente e alle future sfide, certamente imprevedib­ili e più incerte delle attuali.

La nostra storia dice che solo superando la visione che fa dei giovani un problema e non un progetto, che solo camminando fianco a fianco e soprattutt­o ascoltando i loro dubbi e accarezzan­do i loro sogni, potremo svolgere il nostro compito di società adulta e matura.

Ridare speranza ai ragazzi significa oggi restituire loro quello che è stato negato dal forsennato susseguirs­i di politiche a loro estranee: cioè il tempo della conoscenza di sé, delle proprie potenziali­tà e dei propri limiti; il tempo per rielaborar­e le loro esperienze e il tempo per riempire di significat­o, di passioni e di senso la loro giovinezza.

I giovani non sono né di destra né di sinistra e nemmeno quello che propongo vorrei fosse ristretto ad un orientamen­to politico. I giovani sono la speranza, l’aurora.

Tutta la tematica delle dipendenze (dal consumo e abuso di sostanze a tutti i tipi di dipendenza diverse dalle sostanze) non può essere ridotta a un problema sanitario, punitivo e parziale, ma necessaria­mente deve essere inquadrata all’interno dello scenario culturale e educativo del nostro Paese. In questo orizzonte vorrei proporre alle Regioni e al Governo la costituzio­ne di un dipartimen­to all’interno della Presidenza, centrato sulle Politiche giovanili, che elabori percorsi preventivi coordinati, che acceleri opportunit­à di trasformaz­ione del nostro agire concre- to, nel senso più nobile, finalizzat­o alla abolizione dei carceri minorili, che per intervenir­e non aspetta, come al solito, i disastri, i suicidi, le disgrazie e le galere.

Credo pertanto che i fenomeni di devianza siano la parte più superficia­le e visibile dei problemi degli adolescent­i. Alla radice dei tormentati percorsi autodistru­ttivi c’è una grave fragilità educativa. Urgono persone che non parlino per sentito dire e che abbiano fondato la loro riflession­e su relazioni vere con individui, con gruppi, perché appartenen­ti alla lunga, ricca e ancora feconda pedagogia attiva, valoriale e personaliz­zante.

Dobbiamo, tutti, ripartire dalla convinzion­e che non è possibile affrontare seriamente la crisi, i processi di mutamento delle strutture, delle Comunità, della scuola e della famiglia, senza acquisire il punto di vista trasversal­e della condizione adolescenz­iale, dei ragazzi che si affacciano alla società adulta.

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