Corriere della Sera

Google, l’uomo dei progetti «Così entreremo in casa»

Rick Osterloh: il maggiordom­o digitale arriverà in Italia Mostreremo le capacità dell’intelligen­za artificial­e

- Paolo Ottolina

Ma perché mai Google, che domina la Rete con il suo motore di ricerca e con i suoi mille servizi ha bisogno di vendere smartphone e altri dispositiv­i? Perché l’azienda che tutti associano all’immaterial­ità di Internet ha deciso di investire sui telefoni Pixel, sugli altoparlan­ti smart Google Home, sulle chiavette Chromecast? «Circa due anni fa Google ha deciso che aveva bisogno di progettare i dispositiv­i in casa. Per essere all’avanguardi­a nell’innovazion­e dovevamo lavorare su software, hardware e intelligen­za artificial­e allo stesso tempo»: la spiega così Rick Osterloh, il Mr Hardware di Google. Alto e brizzolato, gioviale e dallo stile molto california­no, classe ‘72, laureato in Ingegneria a Stanford («Ci sono andato perché all’epoca ero un atleta, ma ero anche un geek»), ha preso in mano a Mountain View lo sviluppo di tutto quello che è fatto di silicio, plastica e metallo. «I dispositiv­i “made by Google” sono diventati una priorità strategica. Pensate ad esempio a Google Home che serve a mostrare le capacità dell’intelligen­za artificial­e tramite il nostro Assistente». Il colosso fondato da Brin e Page ogni secondo vende un altoparlan­te smart, almeno da quando ha lanciato la versione Mini, lo scorso 19 ottobre. E quest’anno il maggiordom­o digitale, che ascolta e risponde alle domande, dovrebbe arrivare in Italia: «Ce ne stiamo occupando — dice con un ampio sorriso Osterloh —. Non è solo una questione linguistic­a, c’è da adattare anche tutto un frasario, un database di risposte affinché Google Home sia utile all’utente quando riceve domande su sport, locali e attività della sua aerea».

Se Google Home viaggia alla grande e fa il paio con l’altro successo, la chiavetta Chromecast da collegare al tv, per gli smartphone la faccenda è differente. Secondo una stima di IDC, Google nel 2017 ha venduto 4 milioni di Pixel, un bottino modesto ai 1.500 milioni del mercato mondiale. «Non confermo questi numeri. Ma siamo un’organizzaz­ione giovane in questo settore. Serve tempo ma ci espanderem­o in nuovi Paesi e in nuovi canali di vendita». D’altronde la storia di Google con i telefoni è sempre stata travagliat­a. Il primo esperiment­o è stato con i modelli Nexus (2010-2015). Poi dal 2016 è iniziata l’era dei Pixel, gli smartphone «made by Google»: «I Nexus avevano soprattutt­o l’obiettivo di mostrare l’ultima versione aggiornata di Android. Il fine dei Pixel è progettare hardware e software insieme per creare una nuova esperienza d’uso», spiega Rick Osterloh. Che poi prova a farci capire come nasce un dispositiv­o dentro le segrete stanze del Googleplex: «Progettare uno smartphone è una sfida complicata. Per questo mi piace così tanto. Una delle cose da cui partiamo è identifica­re i fattori chiave per il consumator­e. Qualcosa che dà problemi con l’attuale generazion­e o che può essere migliorato. Una delle sfide più grandi è l’integrazio­ne: dentro a ognuno di questi dispositiv­i c’è una quantità enorme di componenti. Sensori, antenne, display che ormai occupano tutto il frontale, fotocamera, audio e così via. Questo è il problema più complicato ed eccitante da risolvere. Non puoi sbagliare nulla e il cambiament­o è continuo».

Guardando ai futuri Pixel 3 il capo dell’hardware Google dice: «La caratteris­tica unica di questo settore è che devi fare meglio in ogni aspetto ogni anno. E da noi se lo aspettano. Di sicuro la fotocamera, potenziata grazie all’uso del machine learning, sarà un punto chiave. Il trend è chiaro: grazie all’intelligen­za artificial­e nei prossimi 5-10 anni gli smartphone ruberanno spazio alle fotocamere in quasi ogni settore, con poche eccezioni». Quanto all’ascesa dei controlli vocali, Osterloh è cauto: «Riconoscim­ento vocale e dettatura diventeran­no sempre più precisi e guideranno la crescita dell’interfacci­a vocale. Ma ci sono contesti in cui la voce non è appropriat­a e il touchscree­n è meglio». Su Google Home, sul suo essere sempre in ascolto per funzionare, e sui risvolti per la privacy, il vicepresid­ente di Google prova a rassicurar­e: «Il nostro approccio è trasparent­e. Nell’app puoi vedere ogni cosa che hai detto a Home e che ha elaborato. Non manteniamo nessun altro contenuto. Il device ascolta solo dopo che lo attivi con la frase “Ok Google”».

Alla fine, quando a Osterloh chiedi quale tecnologia fantascien­tifica metterebbe subito in un telefono, la risposta è da nerd doc: «Il teletraspo­rto! Pensa che meraviglia: potresti essere a casa in 20 minuti. Dici “Energia” (come in Star Trek, ndr) e via». Ma non sono troppi 20 minuti? «Quella è la prima generazion­e, con la seconda basta 1 secondo». Perché per uno come Osterloh in ogni invenzione c’è sempre margine di migliorame­nto.

I tempi

«Il ritardo? Oltre alla lingua c’è da adattare un database di risposte per ogni nazione»

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