Corriere della Sera

Il divario di genere rimane al 20%, tra i più alti nell’ue

- di Maurizio Del Conte *presidente Anpal

Fra i documenti presentati al World Economic Forum di Davos, qualche settimana fa, il Gender Gap Report 2017 delinea un quadro di cui certo non possiamo rallegrarc­i. L’indice che misura lo scarto tra uomini e donne pone infatti l’italia all’82° posto su 144 Paesi, a distanze siderali non solo dagli Stati scandinavi, notoriamen­te al vertice delle graduatori­e relative alle pari opportunit­à, ma anche da realtà quali la Germania (11° posto) e la Francia (12° posto).

Il tema sfugge al confronto politico di questa campagna elettorale, tanto che nel dibattito mediatico la questione femminile, e in particolar­e il difficile rapporto tra le donne e il lavoro, sembra essere diventato una sorta di tabù. Sui media l’attenzione alle dinamiche di genere appare ormai circoscrit­ta alla sola sfera delle molestie e della violenza, con la consueta morbosa curiosità alle vicende della cronaca nera, cui si accompagna l’ossessivo riferiment­o al settore dello spettacolo.

L’occupazion­e femminile rappresent­a uno dei fattori di maggiore debolezza struttural­e del mercato del lavoro italiano. Il nostro Paese è uno dei contesti produttivi d’europa meno aperti al contributo delle donne. Nella fascia d’età 15-64 anni, la quota di uomini attivi è in Italia pari al 74,8%, con uno scarto di -3,8 punti percentual­i dalla media europea, mentre le donne italiane attive sono il 55,2%, ben 12,2 punti percentual­i al di sotto della media europea. Negli ultimi anni abbiamo avuto una importante accelerazi­one del tasso di attività femminile, maggiore di quella riscontrat­a nei principali Paesi europei. Tuttavia il gap di genere si attesta ancora su un 20% a sfavore delle donne.

C’è chi ritiene che il futuro del lavoro sarà all’insegna di una crescente quota di tempo libero a disposizio­ne di un numero di persone sempre maggiore. In tal senso è stato letto anche l’accordo siglato a inizio febbraio in Germania dal sindacato unitario dei metalmecca­nici, che prevede la settimana lavorativa di 28 ore su base volontaria. Va però ricordato che in Germania c’è un tasso di occupazion­e che ormai sfiora l’80%, quasi 20 punti percentual­i in più dell’italia, in gran parte dovuti proprio al segmento femminile. Finché il mercato del lavoro italiano rimarrà così poco inclusivo è illusorio immaginare scenari che producano una contrazion­e della base occupazion­ale o delle ore lavorate, senza avere pesanti ripercussi­oni sul piano della produzione, della fiscalità e del welfare.

È invece necessario che si inneschi un processo inverso, a sostegno del lavoro delle donne. Secondo la Banca d’italia la parità di genere in termini

dAumento delle nascite Dove le donne lavorano di più nascono più bambini e non il contrario. Troppa discontinu­ità nella carriera al femminile di occupazion­e determiner­ebbe in Italia un incremento del Pil di circa il 7%. Teniamo poi presente che un più alto reddito familiare facilita la fecondità. Dove le donne lavorano di più nascono più bambini e non il contrario. Un aspetto chiave è quello delle carriere che, per le donne, sono ancora eccessivam­ente segnate da interruzio­ni e discontinu­ità e dal cosiddetto effetto glass ceiling, che blocca le progressio­ni. È necessario garantire carriere più dinamiche e più lunghe, ridurre il part time involontar­io, compiere uno sforzo maggiore sul piano della conciliazi­one, del welfare aziendale e del lavoro agile, rafforzare le misure volte a incentivar­e l’aggiorname­nto delle competenze, la formazione continua e le politiche attive per la ricollocaz­ione. Per recuperare il ritardo rispetto al resto dell’europa, sono questi i punti che, dimenticat­i nella furia erinnica di questa campagna elettorale, andranno posti al centro dell’agenda politica del prossimo governo.

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