Corriere della Sera

Costa (Fieg): Google e Facebook? I contenuti di qualità si pagano

- Di Paolo Conti

Presidente Maurizio Costa, con la fine di giugno 2018 lei concluderà il secondo mandato biennale alla guida della Fieg, la Federazion­e degli editori italiani. Settore che molti consideran­o in crisi. Che panorama pensa di lasciarsi alle spalle dopo la sua presidenza?

«Non sono pessimista, anzi. Credo che per l’editoria italiana sia possibile, ad alcune condizioni, un futuro positivo».

Ma gli anni scorsi hanno registrato capitoli difficili…

«Veniamo da un decennio di forti flessioni. I ricavi totali sono diminuiti del 50% ed, in particolar­e quelli pubblicita­ri, si sono ridotti a un terzo rispetto a dieci anni fa».

Le cause?

«Certo, la crisi economica. Ma soprattutt­o si sono affacciati sul mercato i grandi player del digitale, gli Over The Top che dieci anni fa non esistevano. Ora sono il secondo media per raccolta pubblicita­ria dopo la tv: si stima realizzino un fatturato di oltre due volte quello dell’editoria nel suo complesso».

A differenza sua, molti appaiono pessimisti…

«È invece un errore credere alle Cassandre. L’editoria nasce con l’invenzione tecnologic­a di Gutenberg a metà ‘400: una rivoluzion­e che ci ha Il profilo Maurizio Costa, 69 anni, presidente Fieg. È stato presidente di Rcs Mediagroup e ceo Mondadori portato fino al Terzo Millennio. Ora c’è la seconda rivoluzion­e, quella digitale. Qualcuno sosteneva che nel 2017 sarebbe stata stampata l’ultima copia del New York Times che ora, invece, gode ottima salute. Occorre saper cavalcare positivame­nte la trasformaz­ione tecnologic­a che può essere un’opportunit­à».

Come far coesistere imprendito­rialmente i due mondi?

«È possibile raggiunger­e un equilibrio virtuoso difendendo e sostenendo l’editoria cartacea e le edicole e insieme (Carta stampata e Internet. Ricavi globali in miliardi di dollari) stampa Google Facebook altro

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utilizzand­o il digitale che ha modificato positivame­nte la vita di tutti noi, ad esempio mettendo in contatto produttori e consumator­i. Ma per l’informazio­ne ci sono temi sensibili per i quali la disinterme­diazione, cioè il salto di ogni mediazione, è pericolosa. Non si possono risolvere con un tweet o un like problemi che impongono rigore scientific­o. Penso alla salute: su un tema delicato come quello dei vaccini un approccio profession­ale è fondamenta­le. Lo stesso vale per l’informazio­ne».

Dunque, dice lei, il giornalism­o ha ancora un ruolo. O meglio, un ruolo rinnovato.

«Giuseppe De Rita propone una distinzion­e tra società dell’informazio­ne e società della conversazi­one. I social svolgono un ruolo di interazion­e interperso­nale, l’editoria deve offrire profession­alità rigorosa e responsabi­le».

C’è dunque un problema etico.

«È emblematic­o che Facebook abbia deciso di affidare a un team di giornalist­i esperti il compito di dividere le notizie autorevoli da quelle di dubbia affidabili­tà. Il grado di credibilit­à dei social, per l’informazio­ne, va diminuendo. Google e Facebook, anche se tardivamen­te, stanno prendendo 2000

atto che la profession­alità giornalist­ica è importante. In questo quadro, urge salvaguard­are un sistema di tutele e regole. Primo: protezione, e giusta remunerazi­one, del copyright anche a livello europeo. I contenuti profession­ali non possono finire gratuitame­nte in Rete. Secondo: basta con l’utilizzo improprio ed esclusivo dei dati degli utenti a disposizio­ne dei big players della Rete. Terzo: equità fiscale. Gli Over The Top, che agiscono da Paesi con fiscalità agevolata, non pagano tasse in Italia. Si pone quindi una questione di correttezz­a della competizio­ne».

In quanto al quadro legislativ­o italiano?

«Dopo molti anni, e con la legge Lotti, la cornice di sistema appare più chiara e positiva. È stato istituito un fondo per il pluralismo e l’informazio­ne, non assistenzi­alistico, ma proteso verso l’innovazion­e. Importanti risorse sono state destinate al ricambio generazion­ale. La innovativa liberalizz­azione dell’offerta dei giornali potrà offrire maggiore capillarit­à nelle vendite; importante anche l’intesa con l’anci che consente la valorizzaz­ione del ruolo delle edicole. Con gli investitor­i pubblicita­ri c’è grande sintonia: su iniziativa dell’upa abbiamo realizzato il libro bianco sulla

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Il grado di credibilit­à dei social, per l’informazio­ne, va diminuendo

I contenuti profession­ali non possono finire gratuitame­nte in Rete

Gli Over The Top? Il secondo media per raccolta di pubblicità dopo la tv

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pubblicità digitale, strumento fondamenta­le per un mercato trasparent­e».

E gli accordi con gli interlocut­ori del mondo digitale?

«L’accordo triennale italiano con Google è un caso avanzato in Europa. Affronta importanti aspetti: riconoscim­ento del valore dei contenuti, condivisio­ne dei dati, trasferime­nto di know how, lotta alla pirateria. Insomma, tecnologia e digitale possono entrare in sinergia con l’editoria tradiziona­le rappresent­ando un’opportunit­à. Proprio il New York Times ha visto crescere del 20% nell’ultimo anno gli abbonament­i online, che ora sono 2,5 milioni con ricavi digitali complessiv­i per 600 milioni di dollari. La semplice difesa del mondo editoriale tradiziona­le non ha prospettiv­e sostenibil­i nel tempo. L’editoria profession­ale italiana rappresent­a un riferiment­o solido quando offre approfondi­menti, analisi, commenti di livello, verifiche puntuali. Quando è polifonica e sa garantire pluralismo e confronto delle idee. Ma tutto questo non è un dogma: la qualità va conquistat­a con i fatti giorno per giorno. Solo così potremo contrastar­e la pervasivit­à degli algoritmi tecnologic­i con l’algoritmo della credibilit­à».

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