Gigi Proietti e il paradosso di un attore che «sente » il personaggio
Nell’anteprima di Beati voi- Tutti Santi — la puntata era dedicata alla figura di San Filippo Neri –— Gigi Proietti, che nel 2010 ha vestito i panni di San Filippo Neri nella fiction Preferisco il Paradiso, ha descritto il suo rapporto con la figura fondatore dell’ordine degli Oratoriani (TV2000, mercoledì, ore 21.05).
Mentre Proietti spiegava le sue affinità con il Santo («Neri fuggiva l’ufficialità, il ruolo, il crescere di grado, qualcosa di simile ce l’ho anche io»), mi è tornato alla mente il famoso «paradosso dell’attore» di Diderot, pubblicato nel 1830. L’autore sostiene che un attore (le comédien) è tanto più bravo ed efficace sul palcoscenico quanto meno «sente» il personaggio e interpreta la parte per imitazione dei suoi atteggiamenti e dei suoi sentimenti.
Se l’attore imita il personaggio riesce a renderlo efficacemente, se vuole entrare dentro di esso, comprenderlo, riviverlo, in sostanza «diventare» il personaggio da lui interpretato, risulta fiacco e inattendibile.
Diderot non nega il ruolo della sensibilità dell’attore, ma ritiene che essa debba essere padroneggiata dal mestiere e, di conseguenza, che «l’estrema sensibilità che fa gli attori mediocri, è la sensibilità mediocre che fa l’infinita schiera dei cattivi attori, ed è l’assoluta mancanza di sensibilità che prepara gli attori sublimi». È una tesi che contraddice (un paradosso, appunto) tutte le teorie dell’immedesimazione nel personaggio, tutte le scuole di recitazione che si sono rifatte al metodo Stanislavskij, ripreso poi in America da Lee Strasberg per il suo celebre Actor’s Studio.
Proietti rispondeva gentilmente, cercava di dare più soddisfazione al suo interlocutore che a sé stesso, diceva (così mi è parso) frasi di circostanza sul Santo da lui interpretato. Ma le stesse cose, con tutto il rispetto, avrebbe potuto dirle del maresciallo Rocca.