Corriere della Sera

Niente prove sul giornalist­a assassinat­o: liberi 7 italiani

Nuove dimissioni nell’entourage del premier Fico: dopo il ministro della Cultura, lascia il capo di gabinetto

- di Giovanni Bianconi Andrea Nicastro

e Per la magistratu­ra slovacca non ci sarebbero prove sufficient­i, e così i sette presunti ’ndrangheti­sti finiti in cella due giorni fa perché sospettati di avere ucciso il giornalist­a Jan Kuciak e la fidanzata Martina Kusnirova, sono stati liberati.

Tutti originari di Bova Marina e Condofuri, vicino a Reggio Calabria, e tutti imprendito­ri, i tre Vadalà, i due Catroppa e i due Rodà, nel giorno dei funerali delle vittime sono tornati al lusso delle loro ville. Intanto salgono a quattro i collaborat­ori del governo che si sono dimessi, e il premier slovacco Fico traballa.

Scarcerati. I sette presunti ‘ndrangheti­sti, gli «italiani mafia» escono dopo appena due giorni. Per la magistratu­ra slovacca non ci sono prove sufficient­i. Forse proprio nessuna prova in assoluto. Il blitz in stile ninja nelle ville dei sette riprese dalle telecamere della polizia, il colpo di teatro del tavolo con un milione di euro in contanti come ricompensa per la soluzione del caso, diventa un boomerang contro il governo.

L’omicidio del giornalist­a slovacco Jan Kuciak e della fidanzata Martina Kusnirova è ormai uno scandalo nazionale capace di scoperchia­rne molti altri. Con le dimissioni di ieri sono ormai quattro i collaborat­ori del governo che si sono dimessi e l’opinione pubblica punta ancora più in alto, al premier Robert Fico e al potente ministro dell’interno Robert Kalinak. Gli italiani rilasciati sono i fratelli Antonino, Sebastiano e Bruno Vadalà, i due Pietro Catroppa, Diego e Antonio Rodà. Tutti originari di Bova Marina e Condofuri, vicino a Reggio Calabria, e tutti imprendito­ri. Il giovane assassinat­o, in un suo reportage sulla ‘ndrangheta in Slovacchia, aveva scritto che i fratelli Vadalà sfruttavan­o aderenze politiche locali per arricchirs­i con il fotovoltai­co, l’agricoltur­a e le sovvenzion­i Ue.

Uno dei loro contatti sarebbe stato con Maria Troskova assistente personale del premier Robert Fico e Vilem Jasan, ex deputato dello Smer, il partito socialdemo­cratico al governo. I due si sono dimessi subito dopo la pubblicazi­one dell’articolode­nuncia. Anche Antonino Vadalà era indicato come sostenitor­e di Smer. Ieri sono arrivate le dimissioni anche di Roman Sipos, capo di gabinetto del premier e poco prima anche quelle del deputato Igor Janckulik, del partito della minoranza magiara Most-hid, e mercoledì del ministro della Cultura, Marek Madaric.

A Bova Marina (in Calabria), ha aperto la porta di casa al Corriere il padre dei tre fratelli Vadalà. È lui a ipotizzare uno scambio di persona, un caso di omonimia. «I miei ragazzi sono lavoratori onesti» dice Giovanni Vadalà (Cappeddazz­u). «Siamo persone perbene, il nostro certificat­o penale è cristallin­o e non c’entriamo nulla con altri Vadalà». Giovanni, un omaccione di 80 anni, mostra le mani callose eredità del passato da muratore in giro per l’europa. Si limita a dire che gli slovacchi sono stati «scostumati e maleducati» nei confronti dei suoi figli «però almeno i giudici sono stati onesti. Fosse accaduto in Italia chissà quando avrei potuto rivedere i miei figli». E ancora: «Qualcuno dovrà chiedermi scusa». La notizia della scarcerazi­one l’ha saputa dal figlio Antonino appena uscito di prigione. «Perché non vanno a indagare nel mondo politico cittadino o a mettere il naso in qualche organizzaz­ione “particolar­e”?».

Le indagini della polizia slovacca sembrano ora dover ricomincia­re da zero, tra le altre piste delle inchieste di jan.

«Nessuna prova»

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Il padre

A Bova Marina apre la porta di casa il padre dei fratelli Vadalà: «Siamo persone perbene»

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