Corriere della Sera

I rettori indigeni in un’università quasi immobile

Vale per il 46,8%. Ubertini: è vero, costa meno promuovere gli interni

- Di Federico Fubini

Il 46,8 per cento dei rettori italiani si sono laureati nella stessa università nella quale oggi lavorano.

Non esiste attività più difficile da rinchiuder­e entro una cerchia muraria di quanto sia il sapere. La ricerca e le idee prosperano in una società aperta dove l’una e le altre circolano continuame­nte, perché solo nell’incontro fra persone e esperienze diverse la conoscenza fa passi avanti. Fin qui la teoria, di cui anche la legge italiana cerca di tenere conto: nel Paese vige il principio del valore legale della laurea, in base al quale un titolo di studio ha ufficialme­nte lo stesso significat­o e attesta lo stesso grado di conoscenza da qualunque università esso venga conferito. Poiché anche il personale insegnante ai vari livelli delle università statali è remunerato ovunque nello stesso modo — dal Politecnic­o di Milano alle Università degli Studi di Teramo, del Molise o della Basilicata — la conclusion­e dovrebbe essere scontata: titoli di studio e compensi uguali fanno sì che almeno nei confini del Paese le carriere dei professori e dei ricercator­i siano fluide, mobili, ricche di scambi frequenti. Giusto?

Sbagliato. In Italia il sapere universita­rio non è mobile. Al contrario, spesso sembra dipanarsi per intere carriere trincerato entro le mura della stessa città o nei confini dello stesso bacino territoria­le.

Valore legale

Per averne la certezza andrebbe condotto uno studio sui curriculum dei 36.500 docenti universita­ri nel Paese, siano essi ricercator­i, professori associati o ordinari. Per raccoglier­e qualche indizio il Corriere ha tentato un esperiment­o più limitato: andare al grado più alto della carriera, i circa 80 rettori di ateneo, e misurare quanti di essi si siano laureati nell’area territoria­le, nella città o nell’università della quale oggi sono alla testa. Negli Stati Uniti (dove in maggioranz­a le università sono private) o in Germania (dove sono pubbliche) chi ottiene un dottorato post laurea deve proseguire la carriera altrove. Questo vincolo mira a scardinare le reti di relazioni chiuse e a obbligare i candidati a ciascun posto a farsi valere, solo sulla base della loro preparazio­ne, là dove non sono già conosciuti da anni.

E in Italia? Il 46,8% dei rettori si sono laureati nella stessa città o (più spesso) nella stessa università nella quale oggi lavorano: spesso accade in atenei principali di Regione, come la Sapienza di Roma, Firenze, Cagliari, Torino, la Statale di Milano, Bari o Palermo, o in sedi antichissi­me come Urbino o Camerino. Un ulteriore 30,4% dei rettori risponde invece a quella che si potrebbe definire «la legge dei 150 chilometri»: questi docenti hanno conseguito la laurea nell’ateneo principale del bacino territoria­le nel quale la loro università è una gemmazione minore che, spesso, non esisteva quando loro si sono iscritti all’università (ad esempio l’insubria a Varese o la Vanvitelli in Campania). Infine, solo il 22,8% dei rettori si è laureato in un ateneo diverso e lontano da quello che oggi guidano. In questo, la superpoten­za universita­ria d’italia è Pisa: è da lì che viene la maggioranz­a relativa di rettori che sembrano aver avuto una carriera all’insegna di una maggior mobilità.

Immobilism­o di ateneo

Un ulteriore dettaglio: fra il 77% dei rettori che ha avuto una carriera sedentaria, quasi tutti sono stati nominati come professori associati nella o vicino alla città dove si trova oggi il loro ateneo. Niente di tutto questo significa che chi si è mosso poco sia per forza un cattivo studioso o accademico. Spesso è vero il contrario, come attestano Gianluca Vago alla Statale di Milano, Ferruccio Resta al Politecnic­o o Francesco Ubertini a Bologna. Quest’ultimo contesta che il criterio della mobilità sia indicativo, ma aggiunge: «È vero che nel corpo accademico c’è una prevalenza di carriere dove ci si è laureati». Ubertini riconosce che le recenti riforme in parte aiutano a facilitare gli arrivi di talenti da fuori ma, nota con rammarico, i meccanismi di bilancio imposti agli atenei rendono molto meno costoso promuovere persone dall’interno.

Quale che sia la causa, almeno la struttura delle carriere dei rettori segnala che il sistema universita­rio in Italia non è affatto uno solo. Sono molti, su base cittadina o territoria­le. E il valore legale della laurea, uguale ovunque, nei fatti è già stato archiviato e superato dallo stesso gruppo che si oppone più accanitame­nte alla sua abolizione: i docenti universita­ri stessi.

L’eccezione pisana

Tra quelli che si sono spostati, la maggioranz­a si è laureata a Pisa

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Francesco Ubertini, 48 anni, rettore a Bologna

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