Corriere della Sera

Rebus maggioranz­a Cosa può succedere

Dalle larghe intese (di vari colori) al governo del presidente L’extrema ratio è il ritorno alle urne

- Monica Guerzoni

La corsa elettorale è finita, la parola passa agli elettori. E mai come in questa tornata politica il domani si annuncia incerto. In un sistema tripolare e con una legge elettorale per due terzi proporzion­ale, la fisionomia del prossimo governo fatica a delinearsi. Per riuscire a formare una maggioranz­a senza ricorrere al contributo di altre forze, una coalizione (o un partito) dovrebbe superare il 40 per cento dei voti e beneficiar­e della cosiddetta «disproporz­ionalità» del Rosatellum. Un traguardo difficile da centrare, per come è congegnata la legge.

Gli scenari

Se dalle urne dovesse uscire il caos o una situazione di impasse il Parlamento potrebbe imboccare la strada, già collaudata, delle larghe intese. Ma qualora le segreterie dei partiti non riuscisser­o trovare la formula magica in grado di risolvere il rebus dell’ingovernab­ilità, toccherebb­e al capo dello Stato individuar­e una soluzione il più possibile condivisa. E proporre il nome di una personalit­à che possa ottenere la fiducia del Parlamento.

Larghe intese

«Berlusconi ha ragione quando dice che è inutile pensare a larghe intese con il Pd». Con queste parole Matteo Renzi ha relegato sullo sfondo lo scenario che per mesi era sembrato il più probabile: un accordo tra Pd e Forza Italia. Sul finale della campagna elettorale i leader dei due partiti governisti sembrano essersi arresi alla realtà dei numeri.

Sulla carta potrebbero nascere coalizioni di diverso colore. Per quanto ritenuta assai improbabil­e, l’ipotesi di larghe intese tra Pd, M5S e Leu non si può escludere. Al Nazareno temono invece come «molto realistico» lo scenario di un accordo tra M5S, Lega e FDI, tre partiti che nel corso della legislatur­a, a quanto raccontano i dem, avrebbero avuto frequenti «contatti preliminar­i». Una simile coalizione potrebbe avere il problema della leadership: Matteo Salvini lascerebbe la poltrona di Palazzo Chigi a Luigi Di Maio?

Gentiloni bis

Lo scenario di un governo di larghe intese tornerebbe realistico nel caso in cui il Pd si attestasse al 25 per cento e oltre, quota che porterebbe la coalizione di centrosini­stra attorno al 30 per cento. Il resto dei voti dovrebbe metterlo Forza Italia, sempre che avrà la meglio sulla Lega. Al Nazareno confidano che i Liberi e uguali (o una parte del movimento di Pietro Grasso) non farebbero mancare i loro voti a una larga coalizione similtedes­ca, nonostante le dichiarazi­oni contrarie degli ultimi giorni. Un supporto al premier uscente potrebbe arrivare anche da quella decina di eletti cinquestel­le che sono già con un piede fuori dal Movimento.

Governo del presidente

In uno scenario di totale ingovernab­ilità il presidente della Repubblica Sergio Mattarella potrebbe scegliere la via di un esecutivo istituzion­ale, tecnico o di unità nazionale, che non nasca dalla volontà del Parlamento, ma per iniziativa presidenzi­ale. Avrebbe durata breve e obiettivi limitati e godrebbe dell’appoggio più largo possibile. Pietro Grasso ha aperto a un governo di scopo per riscrivere la legge elettorale e tornare subito al voto. Ma Berlusconi è contrario: «Nessun governo di scopo o di unità nazionale».

La non sfiducia

Il governo di minoranza è un’ipotesi di scuola, che ha un precedente storico nel terzo governo Andreotti del 1976, nato con la «non sfiducia» del Pci. Si tratta di un percorso tortuoso, prova ne sia il tentativo fallito dal Pd di Bersani nel 2013. Un governo di minoranza dovrebbe cercarsi di volta in volta la maggioranz­a nei due rami del Parlamento.

Ritorno al voto

Qualora dopo settimane di trattative fra i partiti il Parlamento non si riuscisse a dare al Paese un governo stabile, il capo dello Stato potrebbe chiedere al premier uscente Paolo Gentiloni di andare avanti fino a nuove elezioni: una soluzione che ha il via libera di Berlusconi.

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