Dal rap a Weinstein Le strategie del legale che salvò pure DSK
Brafman: c’è chi vuole far carriera con il sesso
Ambizioso e disinvolto. Si fa strada raccogliendo i clienti evitati da tutti gli altri. Ma è tutt’altro che un avvocato delle cause perse. Entra per un breve periodo nel collegio difensivo di Michael Jackson, accusato di abusi sessuali su minori. Ma l’anno chiave è il 1999, quando riesce a fare assolvere Sean «P. Diddy Combs». Il cantante e musicista rap aveva scatenato una rissa in un nightclub, insieme con la sua fidanzata del momento, Jennifer Lopez.
Combs viene imputato per corruzione e possesso illegale di armi. In udienza l’accusa schiera oltre cento testimoni. Brafman li smonta uno a uno. Le sue quotazioni raggiungono il massimo. Rappresenta in giudizio Plaxico Burress, star del football e, nel 2011, l’ex direttore del Fmi, Dominique Strauss-kahn. Il politico francese finisce nei guai per aver molestato una cameriera nello Sheraton Hotel in piena Manhattan. Viene arrestato, mentre è già sull’aereo. Sembra un caso segnato. E invece, il «piccolo» Benjamin convince il procuratore di New York, Cyrus Vance a far cadere l’imputazione. Abuso di potere, senso dell’impunità: sono le stesse chiavi della vicenda Weinstein. È l’incarico forse più difficile anche per la toga più esperta. Qui non si processa solo «un» predatore sessuale, accusato da decine di donne, ma un’idea, un codice culturale di prevaricazioni, di ricatti. Il tentativo di Brafman è proprio quello di spezzare questo meccanismo: «Il divano del produttore a Hollywood non è certo un’invenzione di Weinstein». Ma questa volta sembra davvero «Fort Alamo».