Dal merito all’autonomia, ecco cosa servirebbe alla scuola
L’ esperienza ha insegnato ai politici che è meglio stare alla larga dalle riforme scolastiche: portano molta conflittualità e nessun beneficio sul breve termine. Si è visto con la legge Renzi-giannini che non ha portato fortuna a chi si era avventurato sul terreno di innovazioni pur consolidate in molti Paesi avanzati: il rafforzamento dell’inglese e della cultura digitale; un fondo nazionale di 200 milioni da distribuire fra i docenti più apprezzati e la possibilità di chiamata diretta degli insegnanti da parte dei presidi; l’obbligo della formazione in servizio per gli insegnanti; l’estensione del Sistema nazionale di valutazione anche alle scuole paritarie.
Purtroppo, è stato da poco siglato un nuovo contratto di lavoro del personale scolastico che è una vera controriforma, definita dal segretario del maggior sindacato di categoria come finalizzata alla demolizione della legge.
Il messaggio è chiaro: il governo di oltre un milione di addetti della scuola appartiene al sindacato e non alle leggi che sono già state votate dal Parlamento. Nel frattempo, per l’ocse i risultati della scuola italiana continuano a galleggiare sotto la media Ue.
E quali sono i programmi per la scuola dei partiti?
Pd: sviluppo dei nuovi Istituti tecnici superiori; piano da 100 milioni per gli asili nido; più tempo pieno nelle scuole primarie del Sud; fondo per la Povertà educativa permanente (300 milioni); valorizzazione del merito degli insegnanti (ma il contratto appena siglato prevede la riduzione di un terzo del fondo attuale); un «esercito di maestre e di maestri» per le zone a forte dispersione scolastica.
Centrodestra: più risorse alle famiglie che vogliono scegliere senza aggravi le scuole paritarie; meritocrazia per gli insegnanti; chiamata diretta da parte delle scuole; permanenza triennale dei neoassunti nelle province.
M5S: alzare la spesa pubblica per l’istruzione del 25%; azzerare i finanziamenti alle scuole paritarie (salvo asili nido e scuole dell’infanzia); abolire le leggi Gelmini e Renzi-giannini; per gli insegnanti no alla chiamata diretta e al bonus di merito; no all’alternanza scuola lavoro; équipe formative territoriali di supporto alle scuole; lingua inglese nelle scuole dell’infanzia.
Per Treellle, un thinktank di esperti nazionali e internazionali, i punti chiave per un salto qualitativo della nostra scuola sono abbastanza diversi:
a) la scuola oggi non può più solo «istruire» (insegnare discipline), ma deve anche «educare» a una cittadinanza attiva e responsabile. È allora impellente un tempo pieno scolastico fino ai 16 anni di età;
b) ripensare la formazione universitaria e i metodi di reclutamento per gli insegnanti.
c) riconoscere il merito: gli insegnanti non sono tutti uguali e il preside deve potere premiare i più apprezzati, che saranno i più adatti a formare i colleghi più giovani e i più deboli.
d) superare un sistema ipercentralizzato e dare spazio a nuovi organi di governo delle scuole autonome legittimando il potere dei dirigenti;
e) controbilanciare l’autonomia con un Sistema nazionale di valutazione (anche per le scuole paritarie) e un nuovo corpo ispettivo che visiti e valuti le singole scuole e i presidi.
f) rinnovare le metodologie didattiche, integrando il metodo trasmissivo (lezioni) con modalità e «attività» interattive tra docenti e studenti. Per Einstein «tener viva la creatività è perfino più importante di troppe conoscenze».
Ma chi tocca la scuola muore. Almeno in Italia.
Politica e riforme
Le difficoltà dei partiti ad affrontare le riforme che portano conflitti e non benefici immediati