La tentazione delle telecamere anti-violenza sui bambini
Anche nell’ultimo caso di Pordenone era un asilo-nido. Bimbi da sei mesi ai sei anni. Ma violenze, urla, maltrattamenti erano continui e umilianti: a volte gli schiaffi sulla nuca facevano sbattere ai bambini la faccia sul banco, a volte i piccoli venivano trascinati fuori al freddo invernale. Anche stavolta per scoprirlo si sono dovute aspettare le immagini delle telecamere dei carabinieri, avvertiti dalle mamme che dubitavano dello slogan della scuola: la «formula vincente verte su cortesia, professionalità disponibilità e familiarità». Comunque vada per le 4 maestre e la bidella indagate, troppo tardi. Allora? Che fare per evitare che accada di nuovo? La tentazione è di piazzare quelle telecamere prima che arrivino le percosse. Riprendere ciò che accade in classe, come si fa con le banche. Ma ci sono i costi che graverebbero sulle scuole. C’è il problema della privacy, che una proposta di legge ha tentato di superare proponendo di conservare solo per un periodo le immagini e usarle solo su richiesta del magistrato. E c’è lo statuto dei lavoratori che tutela il dipendente dal controllo a distanza, a meno di un accordo con i sindacati, previsto dal Jobs act. E, come dice Pino Turi, responsabile scuola della Uil, «la scuola alle telecamere dice no. Non si può, per questi casi patologici, trasformare le aule in carceri».