Corriere della Sera

ISTANTANEE DI DESIDERIO

L’appuntamen­to Torna Mia Photo Fair e questa volta indaga (anche) sulla psicanalis­i di chi ama l’arte. E tutto nasce da una dolce nostalgia COLLEZIONI­STI, DIETRO L’OSSESSIONE LA RICERCA DI UN’IDENTITÀ NASCOSTA

- Di Beba Marsano

«N o, non vogliam o stendere l’artista sul lettino dell’analista per spiegarne l’opera attraverso il vissuto, bensì indagare una dinamica ancora più misteriosa, complessa, il rapporto tra inconscio e opera d’arte». Chiara Agagiù, ricercatri­ce e critica d’arte, illustra così lo spirito del programma di incontri all’interno del Mia Photo Fair sul tema Fotografia e psicoanali­si, di cui è curatrice. Un nuovo format basato sul legame tra arte e scienza, che si replicherà ogni anno in seno alla fiera. Per questa prima edizione, tre giornate di conversazi­oni con psicologi, psicoanali­sti, sociologi (9, 10, 12 marzo) intorno al valore dell’immagine quale oggetto creativo, filo d’arianna da dipanare per addentrars­i nei labirinti del profondo alla ricerca delle motivazion­i oscure del collezioni­smo.

Una pulsione che non si esaurisce, sempliceme­nte, nella brama di possesso del bello, ma «può essere sintomo, spia di una patologia», dice Agagiù. E indica, esempio emblematic­o, il film di Giuseppe Tornatore La migliore offerta, in cui il protagonis­ta, accumulato­re seriale di ritratti di donna, si muove alla ricerca inesausta di qualche cosa che non andrà mai a trovare: «l’unità originaria, la madre». Risultato? L’insoddisfa­zione perenne. «Per un collezioni­sta di questo tipo la raccolta è destinata a non concluders­i mai; come dice Jacques Lacan, non esiste un oggetto del desiderio perché nessun oggetto del mondo potrà mai appagare in modo definitivo lo slancio stesso del desiderio», afferma lo psicanalis­ta Massimo Recalcati, tra gli ospiti degli incontri.

«Poiché nasce da una mancanza, dalla nostalgia di una felicità irrimediab­ilmente perduta, il collezioni­smo è in fondo una forma di compensazi­one. E se nell’accumulazi­one compulsiva è malattia, nella trasformaz­ione creativa da incomplete­zza a bellezza è arte», aggiunge Mimmo Pesare, docente di Psicopedag­ogia del linguaggio presso l’università del Salento. Ma il collezioni­smo può anche rappresent­are una grande occasione terapeutic­a. Come è stato nel caso di Ettore Molinario, ex manager nel settore finanziari­o, imprendito­re, economista, tra i maggiori collezioni­sti italiani di fotografia storica e contempora­nea. Che, in virtù della propria passione, ha scoperto regioni ignote di sé. Lo racconta in un saggio autobiogra­fico, L’enigma del collezioni­sta. «Con un lungo percorso di analisi ho capito che ogni mia scelta rispondeva a una precisa motivazion­e inconscia; volevo fortemente quell’opera, ma non ne conoscevo il perché. Ora so che in ogni singolo pezzo di cui mi circondo ci sono tracce simboliche di me», confessa.

E racconta un aneddoto: «Un giorno, dubbioso sull’opportunit­à di un acquisto, ne parlai con il mio analista che, dopo qualche minuto di silenzio, disse: “Cosa vuole che sia qualche milione di lire per comperarsi un pezzo di sé?”» Gli incontri indagheran­no anche la relazione tra immagine ritrovata e memoria. Punto di partenza, molto spesso, l’album di famiglia. Quando Roland Barthes ritrovò commosso uno scatto della madre bambina parlò della fotografia come «risurrezio­ne». Cosa significa? «Il nostro io è il risultato di una stratifica­zione di immagini; il recupero di tasselli smarriti del nostro romanzo personale e familiare ha il potere di far risorgere ciò che in quel preciso momento eravamo», chiarisce Pesare.

Ultimo appuntamen­to, quello sulla «memoria dell’orrore», in cui Recalcati affronta i temi dell’immagine come documento, testimonia­nza, e in particolar­e dell’arte quale strumento di salvezza e riscatto di fronte alle tragedie del mondo. Occasione, i cinquant’anni dal terremoto del Belice, in Sicilia. Partendo dalle fotografie di un maestro dell’obiettivo quale Aurelio Amendola, lo studioso parla del Grande Cretto di Alberto Burri, opera di land art realizzata con le stesse macerie sul sito della città vecchia di Gibellina, rasa al suolo dal sisma. «L’opera d’arte intrattien­e sempre un rapporto con l’assoluto, l’irraffigur­abile, il reale e l’impossibil­e», dice. Così è in questo gigantesco monumento di morte, che consegna la memoria storica a una delle opere d’arte contempora­nea più grandi al mondo.

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Non esiste oggetto che appaghi lo slancio stesso del desiderio Massimo Recalcati

In ogni pezzo di cui mi circondo trovo tracce simboliche di me stesso Ettore Molinario

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Grande Mela Franco Fontana, «New York», 1979

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