Corriere della Sera

I RISCHI, LA BUSSOLA

- Di Massimo Franco

Si profilano una vittoria del Movimento 5 Stelle in versione edulcorata, meno antisistem­a e quasi «di governo»; un risultato in chiaroscur­o del centrodest­ra, con la Lega in forte crescita e Forza Italia ridimensio­nata; e una sconfitta da misurare nelle sue reali proporzion­i per il Pd e la sinistra in generale.

Ma la grande perdente del voto del 4 marzo è anche una riforma elettorale nata per fermare i grillini e costretta a registrarn­e i consensi intorno se non oltre il 30 per cento; e messa sotto accusa dopo i ritardi registrati­si ieri in diversi seggi per schede sbagliate e procedure farraginos­e: un pasticcio tale che sarà necessario aspettare stasera per avere i dati definitivi. Si possono solo analizzare, dunque, le tendenze di elezioni che stanno delineando una situazione simile a quella del referendum costituzio­nale del 4 dicembre del 2016: nel senso che sanciscono l’affermazio­ne delle forze estremisti­che schierate allora per il No, e umiliano quelle di governo. La grande «periferia» dell’italia, sociale, politica, economica, bussa rumorosame­nte alle porte di un potere che non è stato in grado di vedere quanto stava accadendo. E ora lo subisce. Ma questo non può nascondere la realtà di un Parlamento probabilme­nte privo di maggioranz­a; e di un’opinione pubblica che per circa un terzo avrebbe scelto il movimento di Beppe Grillo e Luigi Di Maio; ma per il 70 per cento si aspetta una soluzione diversa. Non sarà facile trovare la bussola. I numeri parlamenta­ri andranno letti e riletti, per riconcilia­re «molte Italie». La sensazione è che, se i risultati affiorati confusamen­te ieri notte saranno confermati, i Cinque Stelle rivendiche­ranno il ruolo del protagonis­ta. Non avranno però i seggi per esercitarl­o, e dunque rimane da capire quanto siano disposti a assumersi le proprie responsabi­lità. L’unica possibilit­à sarà quella di affidarsi al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Toccherà al Quirinale sondare vincitori e vinti, tutti impotenti per mancanza di una maggioranz­a. E cercare di portarli verso un accordo, anche limitato. Si avverte l’esigenza di scongiurar­e irrigidime­nti tali da prefigurar­e un «tanto peggio tanto meglio» gonfio di incognite: e non solo da parte dei Cinque Stelle. L’ipotesi che possa nascere un governo tra loro e la Lega sembra poco verosimile. Molti voti grillini vengono dal Mezzogiorn­o. E Matteo Salvini, nonostante lo sforzo di «nazionaliz­zare» il Carroccio, rimane inviso a quell’elettorato. Ma esistono anche problemi di numeri insufficie­nti, e preoccupaz­ioni strategich­e. Già un Movimento Cinque Stelle come primo partito spaventa l’europa, e può creare tensioni sui mercati finanziari. Negli ultimi mesi Di Maio ha compiuto una vistosa inversione a U, passando da un referendum contro l’euro a un europeismo ostentato. La svolta, tuttavia, rassicura solo in parte. Il patto con una Lega antieurope­a evocherebb­e uno scenario che definire populista è poco. Dunque, i tentativi di trovare una coalizione larga dovranno guardare in tutte le direzioni: forse partendo da una sinistra ai minimi termini. La premessa non sono solo i voti raccolti ma i seggi ottenuti: con la coscienza di dovere rispondere a un evidente rischio di instabilit­à con una grande prova di responsabi­lità.

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