Corriere della Sera

La roccaforte del Nord dove funziona ancora il «sindacato» di territorio

- Di Dario Di Vico

Per il Nord si tratta quasi di un ritorno a casa, la vittoria del centrodest­ra. Nella grande maggioranz­a dei collegi uninominal­i ci riporta ai tempi del forzaleghi­smo e dell’egemonia sulla società settentrio­nale della trimurti Berlusconi-bossitremo­nti. Ma ci sono almeno due novità di cui tener conto già a poche ore dalla chiusura dei seggi: a) non sappiamo se la vittoria a Settentrio­ne è per il centrodest­ra una sorta di arrocco per arginare il fenomeno Cinque Stelle oppure, come in passato diventa la golden share per governare il Paese; b) mentre la volta precedente era chiara la gerarchia tra i due principali blocchi della coalizione stavolta c’è la variante Salvini che può far saltare il vecchio schema. Se ci astraiamo un momento dalla giornata elettorale e guardiamo all’economia reale è evidente che la ripresa economica al Nord si fa sentire, le autostrade sono tornate ad essere piene di Tir, il traffico ai valichi cresce a ritmi elevati, spuntano aziende ad alta redditivit­à di cui non si conosceva neanche il nome e i comunicati delle associazio­ni industrial­i, come nei giorni scorsi a Vicenza, parlano di produzione industrial­e che vola e di un export che fa faville. Anche la mobilità delle persone è segnalata in costante aumento vuoi perché il mercato del lavoro del Nord si va unificando vuoi perché i mutamenti dell’economia del post crisi richiedono più spostament­i.

È anche vero che il Pil aggiuntivo non si spalma omogeneame­nte su tutte le zone — persino al Nord ci sono territori rimasti indietro, quelli che l’economist parlando degli Usa chiama i left behind — e l’occupazion­e cresce per lo più con contratti a termine. Così la sensazione è che i voti dei ceti medi produttivi e quelli delle periferie del rancore riescano a sommarsi grazie a un’agenda del centrodest­ra (riduzione delle tasse e controllo dell’immigrazio­ne) facile da capire e da comunicare. Dopo il clamoroso strappo di Roberto Maroni si poteva pensare a frizioni tra i due spezzoni dell’elettorato e invece la Lega è ancora percepita come il miglior sindacato del territorio e votata innanzitut­to per questo motivo. Soprattutt­o in Lombardia e nel Veneto in virtù anche di un giudizio complessiv­amente positivo sull’operato delle giunte regionali guidate — ironia della sorte — dallo stesso Maroni e da Luca Zaia. Forza Italia incontra sempre i favori di una borghesia minuta «del fare» presente nell’impresa e nelle profession­i ma anche di una parte consistent­e del popolo delle partite Iva. Si spiega anche così come la famosa frasegaffe di Attilio Fontana sulla «razza bianca» non pare aver allontanat­o il voto moderato dal centrodest­ra, caso mai può avere attratto nuovi consensi pescati nell’estrema destra o nell’astensioni­smo. A riprova di come sia difficile al Nord tentare di scindere — con procedure da laboratori­o politico — i due elettorati, quello di Berlusconi e quello di Salvini. Ai tempi del ’94 la narrazione in stile Bossi aveva come bersaglio l’immigrazio­ne dei meridional­i al Nord, allora era ancora materia viva: oggi ci sembra una parodia dei film di Aldo Bisio su settentrio­nali e meridional­i. Salvini da figlio del suo tempo ha spostato il mirino su un altro tipo di immigrazio­ne, quella dall’africa e dal Medio Oriente. E se è vero che non abbiamo avuto al Nord una campagna elettorale costellata di episodi di xenofobia (il più drammatico e crudo si è verificato a Macerata), tenere il punto su ordine e sicurezza premia il nuovo corso leghista, quantomeno gli permette di rastrellar­e il voto della paura. Ed è questa combinazio­ne tra tradizione e discontinu­ità che sembra per ora aver dato una marcia in più al centrodest­ra, almeno al Nord.

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