La roccaforte del Nord dove funziona ancora il «sindacato» di territorio
Per il Nord si tratta quasi di un ritorno a casa, la vittoria del centrodestra. Nella grande maggioranza dei collegi uninominali ci riporta ai tempi del forzaleghismo e dell’egemonia sulla società settentrionale della trimurti Berlusconi-bossitremonti. Ma ci sono almeno due novità di cui tener conto già a poche ore dalla chiusura dei seggi: a) non sappiamo se la vittoria a Settentrione è per il centrodestra una sorta di arrocco per arginare il fenomeno Cinque Stelle oppure, come in passato diventa la golden share per governare il Paese; b) mentre la volta precedente era chiara la gerarchia tra i due principali blocchi della coalizione stavolta c’è la variante Salvini che può far saltare il vecchio schema. Se ci astraiamo un momento dalla giornata elettorale e guardiamo all’economia reale è evidente che la ripresa economica al Nord si fa sentire, le autostrade sono tornate ad essere piene di Tir, il traffico ai valichi cresce a ritmi elevati, spuntano aziende ad alta redditività di cui non si conosceva neanche il nome e i comunicati delle associazioni industriali, come nei giorni scorsi a Vicenza, parlano di produzione industriale che vola e di un export che fa faville. Anche la mobilità delle persone è segnalata in costante aumento vuoi perché il mercato del lavoro del Nord si va unificando vuoi perché i mutamenti dell’economia del post crisi richiedono più spostamenti.
È anche vero che il Pil aggiuntivo non si spalma omogeneamente su tutte le zone — persino al Nord ci sono territori rimasti indietro, quelli che l’economist parlando degli Usa chiama i left behind — e l’occupazione cresce per lo più con contratti a termine. Così la sensazione è che i voti dei ceti medi produttivi e quelli delle periferie del rancore riescano a sommarsi grazie a un’agenda del centrodestra (riduzione delle tasse e controllo dell’immigrazione) facile da capire e da comunicare. Dopo il clamoroso strappo di Roberto Maroni si poteva pensare a frizioni tra i due spezzoni dell’elettorato e invece la Lega è ancora percepita come il miglior sindacato del territorio e votata innanzitutto per questo motivo. Soprattutto in Lombardia e nel Veneto in virtù anche di un giudizio complessivamente positivo sull’operato delle giunte regionali guidate — ironia della sorte — dallo stesso Maroni e da Luca Zaia. Forza Italia incontra sempre i favori di una borghesia minuta «del fare» presente nell’impresa e nelle professioni ma anche di una parte consistente del popolo delle partite Iva. Si spiega anche così come la famosa frasegaffe di Attilio Fontana sulla «razza bianca» non pare aver allontanato il voto moderato dal centrodestra, caso mai può avere attratto nuovi consensi pescati nell’estrema destra o nell’astensionismo. A riprova di come sia difficile al Nord tentare di scindere — con procedure da laboratorio politico — i due elettorati, quello di Berlusconi e quello di Salvini. Ai tempi del ’94 la narrazione in stile Bossi aveva come bersaglio l’immigrazione dei meridionali al Nord, allora era ancora materia viva: oggi ci sembra una parodia dei film di Aldo Bisio su settentrionali e meridionali. Salvini da figlio del suo tempo ha spostato il mirino su un altro tipo di immigrazione, quella dall’africa e dal Medio Oriente. E se è vero che non abbiamo avuto al Nord una campagna elettorale costellata di episodi di xenofobia (il più drammatico e crudo si è verificato a Macerata), tenere il punto su ordine e sicurezza premia il nuovo corso leghista, quantomeno gli permette di rastrellare il voto della paura. Ed è questa combinazione tra tradizione e discontinuità che sembra per ora aver dato una marcia in più al centrodestra, almeno al Nord.