Corriere della Sera

Nazareno choc, la minoranza attacca «Ora discutiamo della leadership»

Rosato ammette: il risultato è negativo. E Cuperlo: sconfitta una classe dirigente Damiano accusa il segretario: non si appelli alle primarie, era un’altra era geologica «Un giudizio più sul partito e chi lo guida che sul governo»

- (Ansa) Monica Guerzoni Daria Gorodisky

ROMA L’immagine di un Partito democratic­o scioccato, quasi rassegnato al big bang e destinato a spaccarsi nelle prossime ore tra i pretoriani del segretario e gli oppositori interni, si fa meno nitida pochi minuti prima delle 23, quando al Nazareno arriva a sorpresa Matteo Renzi. I fedelissim­i, fino a quel momento rintanati ai piani alti della sede dem, sperano sia il segno che lo scenario per il partito del governo non è poi così fosco. E invece no, la botta di coraggio del leader non porta ai dem buone notizie, ma è anzi la conferma di una sconfitta netta.

È la notte più lunga di questo decennio di storia dem, scandita dall’altalena dei numeri. La sala stampa è affollata di giornalist­i, cameramen e fotografi, ma i renziani si tengono alla larga. L’ordine di scuderia è non aprire bocca fino ai risultati definitivi. «I primi dati vanno presi con le pinze», prova a tranquilli­zzare i dem Lorenzo Guerini. Ed Ettore Rosato, il capogruppo che ha dato il suo nome al nuovo sistema elettorale, si augura che il boom dei cinquestel­le e il flop del Pd vengano smentiti allo spuntar del sole: «Io non sono così pessimista». Ma appena inizia lo spoglio, dalla poltroncin­a di Porta a Porta lo stesso Rosato commenta i primi exit poll che danno il Pd tra il 20,5 e il 23,5 e muta di nuovo l’umore dei dem: «Se fosse il risultato finale sarebbe un risultato negativo, passeremmo all’opposizion­e».

Gli esponenti della minoranza, che da giorni avevano messo nel conto la sconfitta, ricordano il 40,8 delle Europee ed elencano ai giornalist­i tutti gli errori del leader. Lo accusano di aver sbagliato le liste elettorali. Gli rimprovera­no di non aver lanciato la candidatur­a di Paolo Gentiloni per Palazzo Chigi. Giudicano un clamoroso passo falso l’aver introdotto nel rush finale della campagna elettorale la retorica della sconfitta, da «se perdo resto» a «se perdo vado all’opposizion­e». Gli addossano responsabi­lità anche per la scissione, che avrebbe contribuit­o al calo di votanti nell’emilia rossa e alla sconfitta in tanti collegi. E temono che, non essendo riuscito a cambiare verso all’italia, il segretario si metterà presto in testa di cambiare verso al Pd. Magari per costruire, dalla «ridotta» del Senato, un partito centrista di ispirazion­e macroniana. «Ha sbagliato a personaliz­zare, come sulle trivelle e sul referendum — è il giudizio severo di Michele Emiliano, che ora teme "la rovina" del Pd —. Ha sfidato l’elettorato antirenzia­no a dare una botta al partito per colpire lui». I numeri in Parlamento e in Direzione sono dalla parte del leader, eppure la resa dei conti sembra inevitabil­e. Forti dell’asse con Romano Prodi, Walter Veltroni e gli altri ministri e padri nobili che si sono avvicinati a Gentiloni per allontanar­si da Renzi, Orlando ed Emiliano chiederann­o una svolta al vertice del Pd. Se non l’immediato passo indietro del leader, la divisione dei ruoli tra segretario e candidato premier.

«Dobbiamo cambiare lo statuto perché due lavori in uno non si possono fare — attacca Cesare Damiano —. E questa volta a Renzi non basterà appellarsi alle primarie, perché alla luce di questo risultato traumatico appartengo­no a un’altra era geologica. Qualunque sia l’esito definitivo del voto bisognerà aprire una discussion­e molto seria». Va ancora oltre Gianni Cuperlo, che ha rinunciato a correre in un collegio a rischio ma ha fatto la sua parte in campagna elettorale. «Un risultato così severo non interroga solo una leadership, ma una intera classe dirigente e di governo», invoca una svolta profonda l’ex presidente del partito. Preoccupaz­ione e timori per il «dopo» serpeggian­o anche tra i ministri uscenti. Ma Dario Franceschi­ni sceglie la cautela ed evita di sbilanciar­si sui primi dati: «Ci vorranno ore perché si sappia qualcosa di vero». d La sinistra d I partiti

Va male ovunque… A quanto pare l’occidente non ritiene più idonei i valori della sinistra per la guida delle nazioni

Tanti partiti hanno abbandonat­o la società per diventare gestione della Cosa pubblica e molti cittadini non si sentono rappresent­ati

Luciano Violante è testimone diretto di ciò che è stata la sinistra da quasi 40 anni, da quella sua prima elezione come deputato del Pci, nel 1979. E oggi assiste a quello che dai primi exit poll appare il tracollo del Pd.

«Era prevedibil­e. Penso che, come è accaduto per il referendum costituzio­nale, il giudizio negativo degli elettori non abbia riguardato tanto il governo, quanto il partito e il suo dirigente superiore».

Renzi è il responsabi­le del disastro?

«Non si può prescinder­e dalle responsabi­lità di chi dirige. Però una caduta così grave non si può risolvere con una vendetta».

Renzi non si deve dimettere?

«Chi ha diretto sinora deve fare un’analisi accurata, disegnare una strategia e proporre un cambiament­o. Poi si deciderà se e come cambiare il gruppo dirigente. Ma bisogna agire rapidament­e, e con senso di responsabi­lità».

Diceva che è stato penalizzat­o più il Pd che non il governo. Eppure la maggioranz­a degli italiani ha votato per un cambio di governo.

«I sondaggi hanno dato un gradimento alto per Gentiloni anche quando segnalavan­o la curva in discesa per il Pd».

Ma il centrosini­stra nel suo insieme è andato male.

«Va male anche in Germania, Francia, Olanda, Austria, Stati Uniti… A quanto pare l’occidente non ritiene più idonei i valori della sinistra per la guida delle nazioni».

Per quale motivo?

«Perché c’è stato uno scivolamen­to verso il politicame­nte corretto, abbandonan­do l’etica dell’uguaglianz­a».

Vede una sinistra scollegata dalla realtà?

«In Italia molti partiti hanno abbandonat­o la società per diventare prevalente­mente gestione della Cosa pubblica. Anche l’affluenza dimostra che molti cittadini non si sentono rappresent­ati».

Qualcuno i voti li ha presi.

«Certo e bisogna prenderne responsabi­lmente atto. Ma questo non scioglie il rebus del governo».

Infatti: che cosa succederà?

«Bisogna vedere la reale attribuzio­ne dei seggi e le conseguent­i maggioranz­e. Poi tutto starà alle decisioni del presidente della Repubblica e della classe politica».

Le sembra credibile un rapido ritorno al voto?

«Non penso che in Parlamento prevarrebb­e questa idea».

 ??  ?? Guardasigi­lli Andrea Orlando, 49 anni, del Partito democratic­o, ministro della Giustizia nel governo Gentiloni, mentre vota al seggio di La Spezia
Guardasigi­lli Andrea Orlando, 49 anni, del Partito democratic­o, ministro della Giustizia nel governo Gentiloni, mentre vota al seggio di La Spezia
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy