IL QUIRINALE Ora Mattarella attende il confronto con i partiti
Il primo test per verificare i nuovi equilibri sarà l’elezione dei presidenti delle Camere
H a seguito le dirette televisive sul voto nel suo appartamento al Quirinale, senza lasciarsi impressionare più di tanto, considerando che solo da oggi il responso delle urne avrà un segno definitivo. Le indicazioni registrate a tarda notte, però, hanno già confermato a Sergio Mattarella che la gestione della crisi sarà lunga e complessa. Certo, mentre pochi ammetteranno la sconfitta, alcuni partiti (come il Movimento 5 Stelle) o coalizioni (il centrodestra), rivendicheranno una vittoria. Ma si profila un dato incontrovertibile: la fatidica «quota 316» alla Camera — più 161 al Senato — che permetterebbe di tenere a battesimo una maggioranza di governo, non c’è. E, qualora fosse confermato questo risultato aperto, toccherà al presidente della Repubblica verificare se le forze politiche vorranno e sapranno metterla insieme.
Dopo una campagna elettorale lunghissima (di fatto è cominciata con il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, perso dal Pd), isterica e carica di delegittimazioni reciproche, ci vorrà tempo perché le forze politiche metabolizzino il verdetto degli elettori, riprendano a parlarsi, studino eventuali scomposizioni e riposizionamenti. Serviranno degli «esercizi di approssimazione progressiva», che il capo dello Stato seguirà con attenzione. Potrebbero cominciare quasi subito, nelle tre settimane che ci separano dall’insediamento dei nuovi gruppi parlamentari, il 23 marzo, e in particolare dopo il primo scrutinio per eleggere i presidenti delle due assemblee. Dalla loro scelta, infatti, potrebbero venire indicazioni sulle maggioranze possibili e ipotesi di riferimento per lo stesso capo dello Stato, che dovrà appunto attendere questa doppia scadenza prima di aprire le consultazioni al Colle.
Nei giorni scorsi ci si è chiesto se, nel caso di uno stallo prolungato, Mattarella possa in prima persona sollecitare convergenze, magari in una direzione precostituita, o se sia più appropriato che un simile incarico venga svolto da qualcun altro investito di un mandato «esplorativo» (di solito tocca alla seconda o alla terza carica dello Stato). E ci si è domandato poi quanto sia praticabile, e con quale orizzonte temporale, lo scenario di un esecutivo Gentiloni in proroga. E, ancora, ci si è interrogati sulle ipotesi di governi del presidente o tecnici, almanaccando su ogni variabile...
Alla luce dei poteri «a fisarmonica» che la Costituzione attribuisce al presidente, queste ipotesi (e altre) sono tutte praticabili secondo la discrezionalità del Quirinale. Non per nulla, la stella polare seguendo la quale il capo dello Stato fa rotta è la capacità di formare un governo che riceva la fiducia delle Camere. Ciò vale anche per la personalità — un parlamentare ma anche no — alla quale assegnare l’incarico. Ciò che conta (dal combinato disposto degli articoli 92 e 94 della Carta e dalla prassi) è la capacità di aggregare una maggioranza da parte di chi riceve il mandato. E la storia della nostra democrazia dimostra, con gli esempi del repubblicano Spadolini e del socialista Craxi, che ci sono stati governi guidati da partiti minoritari che quella capacità l’avevano. Precedenti che, nel disorientamento di queste ore, possono servire a gettare qualche lampo di luce sul lavoro di Mattarella.