Il ragazzo che ha riunito i Della Valle e il popolo viola
Ci sono tante differenze nella morte di Astori. Che è stato il primo grande calciatore ad essere morto nel suo letto, non sul campo. Come non fosse stato lo sport a ucciderlo, solo un’improvvisa stanchezza della vita. Che doveva firmare oggi il rinnovo del contratto per altri tre anni, il suo viaggio verso la fine della carriera. Che gli hanno scritto tweet da tutto il mondo decine e decine di grandi giocatori che non aveva mai conosciuto. Il calcio è davvero come un grande circo, si vive tutti sotto la stessa tenda, le notizie acerbe creano sempre tumulto, paura. Fermarsi insieme significa andare avanti, normalizzare. Ma nelle reazioni di rimbalzo, la morte di Astori ha soprattutto restituito un’anima unica alla città che per dividersi era quasi diventata cattiva con se stessa. Andrea Della Valle non parlava dal maggio scorso, ieri lo hanno tutti aspettato e ascoltato, sotto la pioggia, una volta tanto in silenzio. Come se davvero la Fiorentina e la sua gente fossero tornati una cosa sola. Diego è andato a Udine, nella camera mortuaria, accanto ad Antognoni, l’unico dirigente presente, un vecchio ragazzo capitano anche lui fortemente provato dalle morti fortunatamente apparenti. Si è paradossalmente ricreato un clima identico nella città divisa per definizione. Cosa che Astori non voleva, soffriva anzi molto. Ma Firenze ama parlare delle sue cose come se fossero ancora al centro del mondo. Non è così, non è più così, lo dico da vecchio fiorentino. Astori è riuscito in questa pazza alchimia, dare a un’intera città una voce sola, per ricominciare. Non è un problema immane per il calcio, lo è per Firenze, una città del mondo che non sa più collocarsi, aspetta gli altri per vivere. Astori le ha detto che esiste comunque. Una fantasia dolorosa di cui lui sarà senz’altro orgoglioso, dovunque sia adesso.
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