Dazi Usa sull’acciaio, nel mirino c’è la Cina Pechino: pronti a reagire
Il Paese asiatico primo produttore, dossier di Washington
Lo scontro
● l presidente Usa, Donald Trump, ha annunciato il varo di dazi sull’import di alluminio e acciaio anche da Ue e Canada ● «Profonda preoccupazione» è stata espressa dal premier britannico Theresa May (foto) mentre la Cina ha avvertito che prenderà tutte le «misure necessarie» WASHINGTON Lasciamo perdere le classifiche degli esportatori negli Stati Uniti. Il primo posto del Canada, sia nell’acciaio che nell’alluminio. Le forniture del Giappone, della Germania o degli altri europei. Quella dei dazi alla fine, è una storia tra Stati Uniti e Cina. Non c’è nulla di misterioso: è tutto scritto nella massa di indagini e studi, preparata dal Dipartimento del Commercio, guidato da Wilbur Ross, ex finanziere, miliardario, amico personale di Donald Trump. Il team che da mesi lavora sui rapporti commerciali è forse quello più solido in tutta l’amministrazione. Oltre a Ross ne fanno parte i consiglieri della Casa Bianca Peter Navarro e Robert Lighthizer, avvocato settantenne dell’ohio, in campo contro «la minaccia cinese» fin dal 1983, quando era vice ministro nel governo di Ronald Reagan.
Ecco che cosa si legge nei documenti ufficiali: «Dal gennaio 2016 fino al febbraio 2017, il Dipartimento del Commercio ha avviato 102 indagini anti dumping, contro le 52 cominciate nel periodo precedente». Fin dal primo giorno, dunque, il governo Trump ha deciso di cambiare marcia. I risultati più vistosi toccano proprio la Cina. Un caso esemplare è quello dei laminati di alluminio, utilizzati per una grande gamma di produzioni. «Gli esportatori cinesi hanno venduto laminati negli Stati Uniti a un prezzo inferiore compreso tra il 48,6% e il 106% in meno rispetto al suo valore di mercato. Nel 2016 le importazioni di questa merce hanno raggiunto l’ammontare di 389 milioni di dollari».
L’analisi sull’acciaio è un po’ più complessa. Oggi la Cina non figura nemmeno tra i primi dieci fornitori degli Stati Uniti. La sua quota diretta si aggira sul 3%, anche perché la presidenza di Barack Obama aveva già applicato una serie di restrizioni. Ma Ross, Navarro e Lighthizer guardano in prospettiva, anche ad altri numeri più complessivi. La Cina è di gran lunga il più grande produttore di acciaio nel mondo: 803,8 milioni di tonnellate, contro le 105 del Giappone, le 89 dell’india, le 78 degli Stati Uniti, le 70 della Russia. I cinesi possono già contare su un avanzo commerciale di 26,3 miliardi di dollari, a fronte di un deficit americano pari a 9,6 miliardi di dollari (quello dell’italia è a quota 3,8 miliardi di dollari).
Lo strapotere della Cina allarma gli americani che hanno trasformato l’approvvigionamento di queste materie prima addirittura in un tema «di sicurezza nazionale». La crescita tumultuosa di Pechino condiziona i prezzi del mercato e a Washington sospettano che una larga porzione di acciaio venduto da altri Paesi del mondo, specie emergenti, in realtà provenga dagli altoforni cinesi.
Torniamo ancora un attimo alle carte di Ross. Nelle sue raccomandazioni al Presidente, il segretario al Commercio elenca, in ordine alfabetico, 12 Paesi sui quali applicare «una tariffa almeno pari al 53% sulle importazioni di acciaio»: Brasile, Cina, Costa Rica, Egitto, India, Malesia, Russia,
Cina
Giappone India Stati Uniti Russia Corea del Sud Germania Turchia Brasile ITALIA
Usa
India Russia Germania Argentina Svizzera Brasile Indonesia Giappone Gran Bretagna