Corriere della Sera

ITALIANI

- (Foto Johanna Grawunder)

Savinio, dunque. Ma poi è venuta la passione per Walt Disney.

«Già, da ragazzo. All’università guardavo a Saul Steinberg. Mi piaceva l’armonia tra segno e scrittura. In verità, l’architettu­ra è arrivata tardi nella mia vita. Per molti anni io ho vagato senza sapere che cosa fare esattament­e. Avevo un nonno costruttor­e, quindi mi iscrissi a ingegneria, così per inerzia. Ma lì accanto, c’era la facoltà di architettu­ra. Lo scoprii e cominciai, quasi di soppiatto, a seguirne le lezioni».

In mezzo, c’è stata una guerra. Ricordi?

«Ricordo quando iniziarono i bombardame­nti su Milano. Mio zio mi accompagna­va a scuola in sella alla bici. Un giorno, per strada, qualcosa ci esplose a pochi metri di distanza. Capii che qualcosa stava cambiando».

Riusciste a scappare?

«Sì, impacchett­ammo la collezione di opere e ci rifugiammo a Bedizzole, borgo sul lago di Garda. Ma non era distante dalla Repubblica di Salò. Quindi presto anche lì cominciaro­no i bombardame­nti e gli appostamen­ti. Arrivarono i tedeschi. Insomma, bisogna riconoscer­e che non scegliemmo il posto giusto!».

È vero che la collezione venne murata?

«Sì, in una cantina della villa dove eravamo, proprietà dei miei zii. Fu così che la raccolta Boschi Di Stefano si salvò. Non si salvò invece la mano di mia nonna: percosse dai tedeschi con un fucile, le sue dita si spezzarono. E non si salvò il gruppo di ragazzi partigiani che si nascondeva­no a breve distanza dalla casa dove eravamo noi. La guerra è terribile. E oggi so che è inutile ammantarla di valori nobili. È sangue, è perdita, è atrocità. Poco altro».

Milano venne bombardata e semidistru­tta. Come venne ricostruit­a, secondo lei?

«Molto fedelmente. La Scala era stata sventrata e la Galleria Vittorio Emanuele ridotta in pezzi: fu fatto un lavoro di grande precisione. Però, vede, io vivo un’altra Milano. Quella che mi visita in sogno, quasi ogni notte: è una Milano che non c’è mai stata, ma è molto nitida, definita. Comincia dalla zona dietro alla Stazione Centrale — e non so perché, visto che non ci ho mai vissuto! Sì, io in sogno abito qui, in una Milano che ha strade, negozi, tram che vivono solo nelle mie notti. Bizzarro?».

Forse non per lei, che opera una continua messa in discussion­e delle sacre regole del progetto. Un uomo controcorr­ente, anzi,

Gli amici Sottsass era forte e fragile. Poi c’era Nanda Pivano, che con lui ha condiviso molto. Grazie a Nanda leggo alcuni di quegli autori americani ai quali lei fece da madre

Il gusto

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Abbraccio nel ‘93 Mendini con Ettore Sottsass
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