Romantica ma forte E Valentino creò la nuova Madame Bovary
Standing ovation per un’eleganza così contemporanea Balenciaga secondo Gvasalia, il gioco delle sovrapposizioni
PARIGI Essere se stessi è il vero nuovo romanticismo. Che è forza e non debolezza. E’ emozione e non freddezza. E se oggi Pierpaolo Piccioli potesse cambiare tutti i finali tragici delle eroine alla Madame Bovary lo farebbe. L’italiano irrompe sulla scena parigina portando in passerella con Valentino un messaggio semplice ma profondo e consapevole che comunque qualcosa si debba fare, ognuno nel proprio, per rispondere ad aggressività e violenza e autorità. «La moda deve reagire e non rispecchiare», dice. Sovvertire e non subire: «Con il romanticismo come libertà e approccio alla vita e alle emozione, rifiutando qualsiasi legame con la fragilità». E se a parole gli resta facile spiegare, con lo show e gli abiti gli riesce ancora meglio. «Ognuno nel suo», appunto. Lo stilista lavora la semplicità di una tunica, di un mantello, di una cappa e un paio di pantaloni e la erige a romantica bandiera ricamando, intarsiando, applicando fiori di campo (viole del pensiero, tulipani) giganti (la forza). E aggira i languori monacali che sono il suo stile ora assottigliando la silhouette ora aprendo spacchi lungo fianchi, ora interpretando cappucci scultorei e frange in pelle nera, ora proponendo colori decisi. Rifiuta la giacca maschile come simbolo della forza e la ridisegna autorevole in rosa shocking. Ai tessuti eterei preferisce quelli più corporei come il cady che al più impercettibile svolazzo blocca con piccoli punti. Sfata lo stereotipo della decoltè dal tacco alto e super femminile imponendole il calzino di nappa scuro. Il gesto di annodare un foulard in testa si fa meno lezioso perché il carré è imbottito. Le nuove borse “bloom” dimenticano la discrezione e ritornano grandi. E’, di nuovo, standing ovation perchè di eleganze così contemporanee se ne vedono poche.
In un capannone industriale della banlieu parigina al centro di uno spazio infinito c’è una montagna di neve candida che i graffitari della città hanno violato con segni, messaggi, scritte a tinte fluo. Non è forse lo stesso lavoro che Demna Gvasalia sta facendo per Balenciaga? Lo stilista di origini georgiane naturalizzato tedesco, studi ad Anversa, è tra i più forti distruttori e ricostruttori del fashion system, stilisti cresciuti in altre scenari che non sono i party e i grand hotel ma permessi di soggiorno scaduti e quelle realtà underground di ribellione ad estetiche ingessate. «Faccio una moda che rispecchia il mondo intorno a me», ripete sempre, senza mai lasciare che il successo tradisca la visione. Se mai si spiega sempre meglio, usando un linguaggio più chiaro e concedendosi anche parole ri-pescate nel perbenismo. Ecco allora che un paio di decolletè, stereotipo della femminilità borghese, restano ai piedi delle modelle (casting rigorosamente di ragazze normali) per tutto lo show che comincia da una serie di tubini stretch drappeggiati (ma cortissimi) e si sviluppa nel gioco delle stratificazioni sino ad arrivare a cinque capi (pellicciotto, giubbotti jeans, piumino, parka, giacca) e a volumi (non erano forse anche l’ossessione di monsieur Balenciaga?) esagerati e colori fluo così come piace alla tribù degli snowboardisti. Applausi, applausi per Demna. C’è lo street style, moderna forma del nazional popolare, che contamina tutto e c’è quell’eleganza precisa, sempre a rischio snobismo, specie qui a Parigi. Così Givenchy, una moda altera e didascalica sul senso di distinguere il mondo fra chi può permetterselo e chi no, da sfiorare lo stucchevole. La noia. Là dove la proposta, per carità da manuale del vocabolario del capo perfetto, si esaurisce a vestire la signora di voluminose pellicce sfacciatamente intarsiate e abiti di pizzo e chiffon longuette e scivolati o, in alternativa a contrasto, i pantaloni maschili neri e cattivi e perfetti con la blusa chiusa sino all’ultimo bottone. Ineccepibile dal punto di vista sartoriale, ammiccante verso le ragazze/signore ma senza quel suggerimento, quel sogno, quell’emozione trasmesse da Claire Waight Keller durante la sua haute couture. Forse che la stilista senta più quel progetto? Potrebbe essere.
E al capitolo «Ma se ne sentiva il bisogno?» entra in scena la rinascita di Poiret, il grande couturier degli Venti, il cui marchio è stato comperato da una compagnia sud coreana che ha affidato la direzione creativa a Yiqing Yin, che ha esordito con un lavoro pulito sulle forme a uovo (cappe e abiti) e sui drappeggi. Ma tutte queste donne che si vestono così dove sono?
Pellicce e intarsi Givenchy veste la signora di voluminose pellicce sfacciatamente intarsiate