Corriere della Sera

«Un vero manager e un d.t. scandinavo per rianimare il fondo»

Il mito Nones: «Italia inesistent­e ai Giochi»

- Gaia Piccardi

● Maresciall­o della Finanza, poi ha fatto l’imprendito­re

La voce del padre fondatore del fondo italiano, quel Franco Nones da Castello di Fiemme capace di mettersi alle spalle la Scandinavi­a all’olimpiade ‘68, arriva forte e chiara. «Ho appena visto lo sprint di Pellegrino a Lahti. Sulle qualità di Federico non c’è da discutere, ma il resto...». Il resto, ecco. Quelle briciole di azzurro sugli sci stretti a Pyeongchan­g 2018: le frazioni di Rastelli e De Fabiani in staffetta e poi? «La squadra italiana all’olimpiade non è esistita» dice l’oro di Grenoble, il primo del nostro fondo. Parliamone.

Nones, cosa l’ha amareggiat­a di più?

«Una nazione che si è sempre fatta rispettare nel mondo ridotta così... Sia chiaro: non ce l’ho con nessuno e non difendo alcun interesse. Sono osservazio­ni da tifoso e critiche da innamorato».

Sotto la coperta di Linus di Pellegrino, niente.

«Federico ormai si sa chi è, ma una squadra non può vivere sui risultati di un solo atleta. Era successo anche a Vancouver con l’argento di Piller Cottrer. La verità è che da Torino 2006, dove dominammo con la generazion­e di fenomeni, più che una squadra è una gran confusione. È stato disfatto quello che si era costruito».

Gli atleti si lamentano del buco generazion­ale tra Di Centa & Co. e Pellegrino, che ha dovuto crescere da solo, senza riferiment­i.

«Io vedo che cambiano i presidenti e si alternano i direttori tecnici, in base a chi appoggia la persona giusta. Con questo sistema è difficile formare gli atleti».

Da ex atleta, li assolve?

«L’ultima cosa che si può dire è che gli atleti azzurri non hanno spirito di sacrificio o forza di volontà».

Dove sta il problema?

«Non basta essere stato un grande fondista per essere un grande allenatore. È una falsa leggenda. Albarello, Fauner che ha toccato il fondo... Il centro tecnico di Lago di Tesero è andato a remengo. In Norvegia tutti i tecnici sono stati atleti mediocri ma per prendere il diploma devono studiare almeno sei anni».

Il d.t. Chenetti, però, è persona seria e preparata.

«Chenetti è bravo ma credo che sia stufo: dubito andrà avanti. Ci vuole un gruppo per far marciare le cose, non basta il singolo».

Se Franco Nones avesse la bacchetta magica, cosa farebbe? In azione Federico Pellegrino, 27 anni, argento nello sprint, ha vinto l’unica medaglia italiana nel fondo ai Giochi di Pyeongchan­g (Lapresse)

«Prenderei un manager esterno, fuori dal settore e dai corpi militari, che abbia carta bianca e metta dei paletti: nessuno deve interferir­e per la durata del suo mandato. Vittorio Strumolo, d.t. ai miei tempi, faceva il commercial­ista e l’organizzat­ore di pugilato, ma aveva un’idea chiarissim­a di come doveva funzionare l’azienda sci. I miei tecnici, infatti, erano Sigmar Norlund e Bengt Herman Nilsson, che nel suo Paese allenava il re».

Il manager, poi, sceglie collaborat­ori. Altri tempi, Franco. i

«Esatto, a partire da un capo allenatore con i fiocchi. Se si vuole imparare, bisogna andare dai più bravi: un norvegese, uno svedese, un tecnico super partes che abbia il coraggio di prendere decisioni. E poi se ne riparla alla fine del quadrienni­o olimpico».

Lei emigrò al Nord, a scuola dai maestri.

«Quando capii che non ero ancora all’altezza dei migliori, partii per la Svezia. Mi nascondevo nei cespugli, mi mettevo in scia degli svedesi e vedevo quanto riuscivo a tenere il loro ritmo. Dormivo con loro, mangiavo con loro. Ho imparato, e vinto. Io dalla Svezia tornavo in treno, mica c’erano i soldi. Ma Strumolo mi diceva sempre: tu pensa a sciare che al denaro ci penso io».

«Tempi in cui un bronzo olimpico valeva più di un oro di oggi».

In più il fondo è un ambiente storicamen­te litigioso.

«Forse, se non lo fosse, Follis e Longa non avrebbero smesso da giovani campioness­e e la Genuin non sarebbe scappata piangendo dal Mondiale di Oslo. Ora il nostro fondo femminile è all’anno zero».

Si riparte da Pellegrino?

dPellegrin­o non basta «Federico è bravo ma un uomo non fa una squadra Chenetti? Secondo me è stufo: non continua»

«Sì però non può fare lo sprinter a vita: gli consiglio di passare a distanze più lunghe, ne ha la qualità e la forza. E poi, scusi, perché in Corea la team sprint non l’ha fatta con De Fabiani se Noeckler non era in forma?».

Perché ha deciso Pellegrino: la faccio con Didi.

«Sbagliato! Chenetti si doveva imporre. Se i norvegesi hanno lasciato a casa i mostri Northug e Bjorndalen, noi potevamo lasciare in panchina Noeckler».

Si parla degli inseriment­i di Piller Cottrer e Zorzi.

«Cosa vuole che cambi? Ormai è il gioco delle tre carte».

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