Corriere della Sera

LE RESPONSABI­LITÀ DI CHI HA VINTO

Dopo il 4 marzo Nessun partito o coalizione ha i voti per governare in solitudine. Le rivendicaz­ioni dell’incarico sono legittime ma devono misurarsi con la realtà di un Parlamento al momento senza maggioranz­a

- di Luciano Fontana

Domenica 4 marzo è finito il mondo della politica italiana che abbiamo conosciuto negli ultimi venticinqu­e anni. Le divisioni tra destra e sinistra quasi non esistono più nelle urne. Il centrosini­stra precipita in un abisso inimmagina­bile fino a qualche mese fa. Berlusconi, il capo indiscusso dei conservato­ri, l’uomo che con la sua discesa in campo e il rapporto diretto con gli elettori aveva dominato sempre la scena, viene sconfitto nella competizio­ne interna da Matteo Salvini, il leader che ha cambiato pelle alla Lega. I Cinque Stelle, affidati dal comico fondatore Beppe Grillo a Luigi Di Maio, ottengono un grande successo proprio quando decidono di uscire dal recinto della semplice protesta.

Niente sarà più come prima. Cambiano i protagonis­ti, cambia la geografia elettorale del Paese, cambiano le motivazion­i del consenso. La sconfitta del Pd ci restituisc­e un’italia quasi bipolarist­a. Il centrodest­ra è fortissimo al Nord ma altrettant­o rilevante con la Lega in aree del Centro e del Sud del Paese: in nome dei temi della rivolta fiscale, dell’immigrazio­ne e della sicurezza (si veda il caso di Macerata con il partito di Salvini passato da 153 a 4.808 voti).

Lega e Cinque Stelle non hanno accantonat­o le pulsioni antieurope­e, ciò complica gli accordi

Si aprirà una battaglia politica e di ambizioni personali il cui approdo non è per niente scontato

ICinque Stelle sfondano nel Mezzogiorn­o cavalcando la rivolta contro le vecchie classi dirigenti e offrendo il reddito di cittadinan­za come soluzione alla disoccupaz­ione di massa, soprattutt­o giovanile.

Una divisione politica e territoria­le netta ha spazzato via nomi e candidatur­e forti sulla carta; il voto d’appartenen­za, dato solo al partito e alle sue parole d’ordine, ha reso invisibili le alternativ­e legate alla competenza e alla notorietà. Il prezzo più alto lo ha pagato il centrosini­stra (e il suo capo Matteo Renzi), in una replica ancora più dura della sconfitta del referendum costituzio­nale del 2016. Non sappiamo ancora se le dimissioni, annunciate ieri, rappresent­ino l’uscita di scena definitiva di un leader che aveva suscitato speranze e qualche illusione. Anzi aver congelato la convocazio­ne della fase congressua­le, aver rinviato tutto al termine delle consultazi­oni per il governo sembra dimostrare che vuole controllar­e possibili deviazioni dalla linea annunciata ieri: opposizion­e e mai accordi con M5S e centrodest­ra. Nel Pd si aprirà una battaglia politica e di ambizioni personali il cui approdo non è per niente scontato, vista la fuga di parte dei suoi elettori verso il Movimento Cinque Stelle.

Una fase tremenda in cui il Pd sarà dilaniato dal dilemma su come spendere il proprio capitale, anche se ridimensio­nato, di eletti in Parlamento. Luigi Di Maio ha aperto ieri al dialogo per la formazione di un governo, imperniato su se stesso e sul M5S, che nelle sue intenzioni potrebbe coinvolger­e principalm­ente il centrosini­stra. Anche Matteo Salvini si è detto pronto ad assumere l’incarico in rappresent­anza di una coalizione di centrodest­ra molto lontana dal vecchio schieramen­to dominato da Silvio Berlusconi. Le lodi sperticate al capo leghista arrivate da importanti dirigenti di Forza Italia sono il sintomo più chiaro della corsa al vincitore e del suo tentativo di conquista definitiva della guida dei conservato­ri italiani. Un progetto che punta alla costruzion­e di un’ampia formazione nazionalis­ta molto diversa dal vagheggiat­o schieramen­to liberale del Cavaliere.

Naturalmen­te siamo solo all’inizio di una fase politica in cui alcuni elementi sono però chiari: nessun partito e nessuna coalizione ha i voti per governare in solitudine. Le rivendicaz­ioni dell’incarico da parte dei vincitori sono legittime ma sembrano prove muscolari che devono misurarsi con la realtà di un Parlamento al momento senza maggioranz­a. Il fatto che M5S e Lega non abbiano accantonat­o le pulsioni antieurope­e rende gli accordi ancora più complicati.

La partita passa nelle mani del presidente della Repubblica che, crediamo, non abbia alcuna intenzione di farsi trascinare in tentativi dimostrati­vi di formare il governo, fatti solo per riaffermar­e il proprio ruolo. Il capo dello Stato ha il compito di assicurare stabilità all’italia con un esecutivo sostenuto da numeri sufficient­i. È un cammino stretto e difficile ma l’unico percorribi­le. Quantomeno per assicurare quei provvedime­nti e quelle riforme che permettano di giocare la prossima gara in una maniera meno frantumata ed efficace. Nella speranza che l’eterna transizion­e italiana finalmente si chiuda.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy