Corriere della Sera

Il lungo logorio del segretario

Per un attimo in conferenza stampa il segretario torna quello più «autentico» La critica al premier: ho fatto la campagna un po’ troppo tecnica che mi ha chiesto

- di Aldo Cazzullo

Il Renzi quello vero si vede solo per un attimo, quando mette su la sua faccia da schiaffi: «Sapete che c’è? Fatevi il governo senza di noi!».

Lì per un attimo si è rivisto il Matteo Renzi che nel discorso di insediamen­to a Palazzo Madama fa imbestiali­re i senatori, parlando a braccio con la mano destra in tasca: «Per prima cosa, questa è l’ultima volta che voi votate la fiducia a un governo». O il presidente del Consiglio che fa infuriare i giornalist­i, convocando­li a Palazzo Chigi per una conferenza stampa che si rivela una proiezione di slide destinate al pubblico a casa: «Dal prossimo mese avrete 80 euro in più in busta paga, da spendere per regalare un libro a vostro figlio e andare una sera in pizzeria!». Ieri, nell’ultimo discorso da segretario, rinviato per tutta la piovosissi­ma giornata romana in un inseguimen­to di voci, discussion­i, ripensamen­ti, Renzi ha avuto un solo guizzo da vecchi tempi, quando ha detto a leghisti e grillini: «Ci avete chiamati mafiosi, corrotti, impresenta­bili. Avete detto che abbiamo le mani sporche di sangue. Bene, ora fatevi il vostro governo senza di noi, se ne siete capaci».

Per il resto, è parso un ex fuoriclass­e, alla ricerca del tocco magico perduto. Si è abbandonat­o a recriminaz­ioni improbabil­i. Difficilme­nte l’onda antisistem­a che ha travolto il Pd (e un po’ anche il partner mancato Berlusconi) sarebbe stata meno lunga, se l’italia avesse votato insieme con l’olanda o la Francia o la Germania; perché al Sud l’economia è messa decisament­e peggio che in Olanda o in Francia o in Germania. E il risultato incerto di domenica non dipende dal No al referendum costituzio­nale, semmai dalla bocciatura dell’italicum («ma con una sola Camera sarebbe stato inevitabil­e il ballottagg­io, e la sera delle elezioni avremmo conosciuto il nome del vincitore», ribadirà Renzi nelle conversazi­oni private). La sua parabola era già finita il 4 dicembre 2016. Quello di ieri non è neppure il punto finale; è un altro gradino verso gli inferi delle risse di partito e dell’agonia di una leadership.

Renzi fa sapere che se ne va, ma non subito. Annuncia le dimissioni, ma non molla il partito agli avversari. Si rinserra nella propria personale ridotta della Valtellina: impedire che il Pd si getti nelle braccia dei Cinque Stelle. L’ultima missione è evitare che i democratic­i eletti al Sud seguano i pifferai grillini, proprio come al Nord i forzisti già obbediscon­o alla Lega. Per questo ripete in modo ossessivo, per quattro volte, «no ai caminetti», «no ai reggenti», «sì a un segretario eletto con le primarie», per poi chiarire in privato che non si ricandider­à: «Sarà Delrio, sarà Chiamparin­o. Decidano loro. La cosa non mi riguarda più».

Il messaggio comunque è chiaro: la complicata fase a venire la gestirà ancora lui. Sarà lui a salire al Colle da Mattarella. Aspettare l’elezione dei presidenti delle Camere (ma quali presidenti?) e la formazione del governo (ma quale governo?) significa darsi ancora un tempo indefinito. E il segretario si riserva anche il diritto di dire dei sì, ovviamente «sulle cose utili al Paese». Conta insomma di poter fare ancora politica, seppure dimidiato dalla necessità di mollare sul serio, prima o poi: «Me ne andrò un minuto dopo aver ancorato il Pd all’opposizion­e» assicura.

In realtà, il partito non vorrebbe lasciarlo a nessuno; come una moglie da cui ci si deve separare, ma che non si vuol vedere a braccetto di un altro. Grandi leader all’orizzonte non se ne vedono. Quelli di Liberi e uguali avrebbero fatto meglio a restare; oggi forse il Pd sarebbe loro. Zingaretti e Delrio hanno salvato la ghirba per un soffio, Franceschi­ni ha perso nella sua Ferrara, la Pinotti nella sua Genova; l’effetto della popolarità di Gentiloni non si è visto fuori dal quartiere Trionfale; Minniti è arrivato terzo a Pesaro. Il ministro dell’interno è l’unico compagno che Renzi cita, forse con una punta di malizia: il suo caso è «il simbolo di queste elezioni»; l’artefice della svolta sull’immigrazio­ne viene battuto «dal signor Cecconi, considerat­o impresenta­bile dagli stessi grillini che l’avevano candidato».

La fiorentini­tà viene fuori al ricordo di questi quattordic­i anni di campagna elettorale permanente, dalla presidenza della Provincia a Palazzo Madama, passando per il Comune e le primarie. «Sarò il senatore di Firenze, Scandicci, Signa, Lastra a Signa e Impruneta», scandisce con orgoglio toponomast­ico. Si ricomincia dal basso, «strada per strada, dalle periferie della nostra quotidiani­tà», che manco papa Francesco.

Gentiloni non viene mai nominato. «Ho fatto la campagna che mi ha chiesto lui — dirà Renzi alla fine —. Un po’ troppo tecnica. Abbiamo rivendicat­o le cose fatte, abbiamo evitato le promesse. Non abbiamo fatto sognare». La distanza rispetto al 2014 non potrebbe essere più siderale; e non solo perché allora la sinistra era al massimo storico — «vi scateno contro Guerini con il quaranta virgola otto per cento!» minacciò i giornalist­i, come se il mite ex sindaco di Lodi fosse un pit bull rottamator­e — e ora è al minimo. Il Renzi dell’anno d’oro sapeva deviare il vento dell’antipoliti­ca nelle proprie vele. Il bilancio di governo è meno negativo di quanto il responso popolare lasci credere. Però mille giorni a Palazzo Chigi hanno logorato politici più strutturat­i di lui, con squadre più forti, in tempi meno terribili. Questo è il tempo della Rete, in cui a un diciottenn­e Renzi appare come Andreotti: un signore che era al potere molto tempo fa.

Come Andreotti

Nel tempo della Rete, a un 18enne Renzi appare come Andreotti: un signore al potere molto tempo fa

d Abbiamo rivendicat­o le cose fatte, abbiamo evitato le promesse Ma non abbiamo fatto sognare Ricomincio dal basso, dalle periferie

d Minniti è il simbolo di queste elezioni, l’artefice della svolta sull’immigrazio­ne viene battuto dal signor Cecconi ripudiato dal M5S

 ??  ?? Al Nazareno Matteo Renzi, 43 anni, ieri durante la conferenza stampa tenuta nella sede del Pd a Roma: ha annunciato che lascerà l’incarico da segretario del Pd dopo la composizio­ne delle Camere e la formazione del governo
Al Nazareno Matteo Renzi, 43 anni, ieri durante la conferenza stampa tenuta nella sede del Pd a Roma: ha annunciato che lascerà l’incarico da segretario del Pd dopo la composizio­ne delle Camere e la formazione del governo

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