QUELL’ASSE RIFIUTATO SI RIVELA NECESSARIO
Il dilemma è molto grillino: il Movimento Cinque Stelle ha vinto grazie alla sua carica antisistema, o perché le ha affiancato parole d’ordine «governative» e perfino moderate sull’europa e l’euro? Non è una domanda oziosa, dopo che Luigi Di Maio ha scalato e superato la vetta del trenta per cento dei voti. In realtà, dalla risposta che il M5S si darà, dipende l’atteggiamento di questo inizio di legislatura. E l’inquietudine è palpabile. Nella notte tra 4 e 5 marzo, quando sembrava che la coalizione di centrodestra si avvicinasse alla maggioranza assoluta dei seggi, il vertice del Movimento ha lasciato l’hotel nel cuore romano dei Parioli, luogo delle celebrazioni per la vittoria, con un filo di incertezza.
Ieri mattina, sembravano tutti più tranquilli: nel senso che si sono resi conto dell’impossibilità per chiunque di formare una maggioranza. Dunque, il primo obiettivo che volevano raggiungere sembrava centrato: impedire la saldatura tra il Pd di Matteo Renzi e Forza Italia di Silvio Berlusconi. I due grandi sconfitti sono loro, insieme con l’ipotesi di un nuovo patto, anticamera di un governo di larghe intese. Neanche sommando le due debolezze ci sarebbero i numeri parlamentari. Ma a quel punto si è presentata la seconda questione, più strategica: che cosa fare del successo; come spendere quella massa di voti per formare una maggioranza di governo.
L’insistenza sul «senso di responsabilità»; gli appelli deferenti al capo dello Stato, Sergio Mattarella; la disponibilità ad ascoltare le altre forze parlamentari; la possibilità di accettare «figure di garanzia» alla presidenza delle due Camere: sono tutti segni della volontà di partecipare a un esecutivo e di entrare a pieno titolo nelle istituzioni. Eppure, Di Maio sa che qualunque ipotesi di accordo passa per un cambio di leadership e di strategia in primo luogo nel Pd. La permanenza di Matteo Renzi alla segreteria, per quanto ammaccato e totalmente delegittimato dalla sconfitta, allontana il dialogo coi Cinque Stelle.
Il timore, invece, è che il segretario dem stia puntando le sue ultime, logore carte per chiudere qualunque spiraglio; inchiodare il Pd all’opposizione, in modo da provocare
l’irrigidimento dei Cinque Stelle; e scommettere sull’ingovernabilità. Questo complica le mosse del primo partito emerso dalle urne. Si intuisce dall’irritazione di Alessandro Di Battista, che vede un Renzi «veramente in confusione. E non se ne rende conto. Per non dimettersi è disposto a frantumare quel che resta del Pd». Il M5S sa che senza una sinistra «derenzizzata» la situazione rimarrà bloccata.
E il «giglio magico» renziano fa di tutto per accreditare una scelta di continuità. Definisce «ipotesi dell’irrealtà» qualunque apertura ai Cinque Stelle. Si ha la consapevolezza che il Pd è a rischio di implosione; e che le dinamiche interne saranno lente, con Renzi intenzionato tuttavia a scandirle col suo potere di segretario eletto dal congresso. «Non faremo da stampella a un governo di estremisti», è il mantra renziano. E le dimissioni al rallentatore, annunciate ma rinviate fino alla formazione di un eventuale governo, sembrano fatte apposta per alzare una barriera. D’altronde, secondo i dati dell’istituto Carlo Cattaneo di Bologna, il M5s «ha prosciugato il serbatoio dei voti al Pd» al centro e al nord: sono avversari irriducibili.
Ma i Cinque Stelle appaiono spaventati dall’eventualità che questo provochi, a medio termine, una reazione negativa dei mercati finanziari. Finora, sono stati tutto sommato prudenti: come se avessero scontato in anticipo la vittoria delle forze populiste. Se il tempo passasse senza che si formi una maggioranza, però, potrebbero dare segni di nervosismo nei confronti dell’italia. I commenti trionfali dei partiti euroscettici del Continente per l’affermazione di Lega e M5S rappresentano un bacio avvelenato per un Movimento che si è sforzato di far dimenticare l’ostilità all’ue e all’euro. L’unica certezza che affiora nel dopo voto, sembra quella di escludere un’alleanza con Matteo Salvini: proprio per evitare ripercussioni negative a livello internazionale.
Ma quelle sponde che in passato i Cinque Stelle hanno sempre sdegnosamente rifiutato, ora appaiono indispensabili. E meno afferrabili di quanto pensassero.
L’obiettivo
Il cambiamento
M5S è riuscito a impedire un governo PD-FI, ora deve capire come usare i voti
Lo sforzo «moderato» disconosciuto dal Pd e dai complimenti degli euroscettici