Corriere della Sera

IL PAESE DELLE BARRICATE E IL BOOM DELLA LEGA

A Gorino c’è un sindaco dem e una storia di giunte di sinistra sin dal 1961 «I rossi dicevano che qui la paura era solo percepita... contenti loro»

- Dal nostro inviato a Goro Marco Imarisio (Ansa)

La vicenda

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● Il 24 ottobre

2016 a Gorino, ota la cultura, frazione vota la del comune scienza». In di Goro, paese piazza Mazzini di poco più di gli spazi seicento anime pubblici per le affissioni sono in provincia rimasti vuoti. Gli unici due di Ferrara, cartelli elettorali, con gli angoli era scoppiata ormai staccati, sono quelli la rivolta contro del Pd, dai propositi ambiziosi. la collocazio­ne Nell’angolo in basso di dodici donne, della bacheca di metallo c’è la migranti pubblicità per l’unico incontro sbarcate sulle elettorale di questa campagna, coste italiane, «Goro e Gorino tra in un ostello ambiente ed economia», il 23 requisito febbraio al teatro Rolando dal prefetto Ricci, oltre al sindaco e al segretario Michele provincial­e parteciper­à Tortora il candidato Dario Franceschi­ni.

Non è cambiato quasi nulla da allora. L’orizzonte è sempre piatto, i cellulari prendono poco e male, il centro commercial­e più vicino rimane a 60 chilometri di distanza, la stazione dei carabinier­i a 20, dai «nemici» di Comacchio, la maggior parte della case è disabitata, il ristorante apre solo il sabato e la domenica. ● Contro l’accoglienz­a delle migranti era nata una protesta, pesantissi­ma, con barricate per strada, nei tre punti d’accesso alla cittadina

● Per bloccare le strade i manifestan­ti utilizzaro­no i bancali di legno, solitament­e usati dai pescatori per depositare le casse di molluschi

● La rivolta costrinse la prefettura a rivedere i propri piani. Le dodici profughe (di cui una incinta all’ottavo mese) furono alloggiate altrove, in diverse strutture di Comuni delle vicinanze: Comacchio, Fiscaglia e Ferrara

La rivolta

Gorino è in fondo a una strada bianca e dopo non c’è più nulla, solo la terra che finisce nel Delta del Po e in mare. La notte del 24 ottobre 2016 alcuni suoi abitanti bloccarono la provincial­e per impedire l’arrivo di dodici migranti, accesero fuochi e si fronteggia­rono con le forze dell’ordine. Erano proteste destinate a diventare comuni, ma quella fu la prima volta. Suscitò scalpore, per quanto lontana da tutto questa è ancora Emilia, una terra che tutti hanno sempre associato al colore rosso, e infatti Goro e la sua unica frazione hanno un sindaco democratic­o e una storia di sinistra fin dal 1962, quando divenne Comune autonomo.

L’attivista

«Nell’ultimo anno i “piddini” di qui non hanno mai pronunciat­o il nome della cosa, l’immigrazio­ne. Dicevano che la paura dei gorinensi era solo percepita. Contenti loro». Alle Politiche del 2013 la Lega aveva preso un misero 3,6% tra i 480 abitanti di Gorino. Ieri ha raggiunto il 43,6%. Nicola Lodi divenne famoso in quei giorni, perché fu lui, attivista dai modi piuttosto spicci, videorepor­ter monotemati­co specializz­ato in filmati sui campi nomadi, ad alimentare la rivolta. Nel suo negozio di barbiere in via Isonzo a Ferrara ha aperto un angolo chiamato «Dillo a Naomo», che è il suo soprannome, dove clienti e cittadini possono sfogarsi con lui, nel frattempo assurto a responsabi­le dell’immigrazio­ne della Lega locale. «A Gorino hanno memoria. E piaccia o non piaccia, si sentono ancora insicuscia­vano ri. Il Pd ha fatto come se quel fatto non fosse mai avvenuto. Ma dopo noi abbiamo tirato su altre barricate in altri paesi. E così oggi gli abbiamo dato questa “bindolata”, una bella legnata. La strategia della rimozione non paga mai».

I risultati

«Inco’ a ghe chi magna di magon e a ghe chi magna di caplet». Lodi ha fatto festa pranzando a cappellett­i in brodo con Alan Fabbri, capogruppo leghista, candidato alla presidenza che da perfetto sconosciut­o, sindaco della piccola Bondeno, alle Regionali del 2014, sfiorò il 20%, surclassan­do Forza Italia e consentend­o al suo segretario nazionale di dire in epoca non sospetta «siamo noi l’alternativ­a a Renzi». Ingegnere, bassista dall’età di 15 anni, fondatore del gruppo rock «Nausicaa» e del festival di musica celtica del suo paese, iscritto alla Lega appena maggiorenn­e, Fabbri è un pioniere dello sfondament­o salviniano in terra di infedeli. «Il Pd si è ritirato, non so dove, e noi abbiamo occupato gli spazi lasciati vuoti. Tutto qui, non ci vuole una scienza». La via Emilia deve essere una unica, immensa prateria, a giudicare dai risultati. Il Pd non è più il primo partito in Regione, sorpassato dal Movimento 5 Stelle. Ma il vero botto lo ha fatto la Lega Nord, che passa in cinque anni dal 2 al 20 per cento, primo partito in metà della Romagna. Liberi e uguali non è pervenuta, se non a Bologna, l’unica roccaforte che ancora resiste, con qualche crepa nelle mura di periferia.

Senza certezze

«Poteva piovere, infatti piove» dicevano domenica sera i militanti del Pd toscano che la- alla spicciolat­a la sede fiorentina di via Forlanini. Alla luce del giorno, anche la Toscana si rivela meno dolce del solito per il Pd, che si è fatto sfilare 11 collegi uninominal­i su 21 dal centrodest­ra, anche questa una prima volta. È caduta Pistoia, che nella storia repubblica­na aveva sempre mandato in Parlamento almeno un rappresent­ante del centrosini­stra. Sono cadute anche Prato e Pisa, quest’ultima fatale alla ministra dell’istruzione Valeria Fedeli, mentre se ad Arezzo poteva essere prevedibil­e la sconfitta nel collegio uninominal­e dell Camera di Marco Donati, al Senato il socialista Riccardo Le barricate fatte da alcuni abitanti di Gorino e Goro, sul Delta del Po ferrarese, per impedire il passaggio dei pullman con i profughi da accogliere nell’ottobre 2016 Nencini si è salvato in zona Cesarini, per 3.000 voti su 296.000 elettori.

Sulla via Emilia

Chiamatelo terremoto politico, dice Marco Valbruzzi, ricercator­e dell’istituto Cattaneo e della facoltà di Scienze politiche dell’università di Bologna. «Le rendite di posizione a sinistra sono finite anche nelle sue regioni “storiche”, ormai normalizza­te. Nulla è più dovuto e scontato. Si è aperto un mercato elettorale inedito, e il Pd si deve ancora attrezzare. Anche a casa sua». Nicola Lodi compare nel mercato di Gorino alle cinque del pomeriggio. Un anziano che porta il cane a passeggio attraversa piazza Mazzini e gli stringe la mano. È un pescatore in pensione, uno delle barricate. «A me non piacete» gli dice. «Ma almeno vi siete fatti vedere». La strada di ritorno sulla via Emilia prevede l’abituale sosta a Cavriago, il paese nella pianura reggiana con il busto di Lenin nell’omonima piazza, donato nel 1920 da una sezione del Partito comunista sovietico, e l’asilo nido che vengono a studiarlo anche dall’america, citato sempre come esempio virtuoso della via italiana al socialismo. Anche qui c’è stato il sorpasso dei Cinque stelle. A Sassuolo ha vinto un candidato del centrodest­ra. Non esistono più porti sicuri. Ai piedi della statua di Lenin qualcuno ha inciso una scritta: «Scusaci compagno Vladimir».

Campo libero

«Il Pd si è ritirato, non so dove, e noi abbiamo occupato gli spazi lasciati vuoti, tutto qui»

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