La ricercatrice e l’ateneo Abdullah a trazione tricolore
Nella sua stanza nell’appartamento «molto, molto grande» che condivide con altre due ragazze, ha appeso il calendario con le foto di Leonardo, Nicoletta ed Emma, i suoi nipotini. Una giornata tipo è semplice: quando esce dal laboratorio va a giocare a pallavolo. E poco importa che fuori dal campus non possa guidare l’auto e debba indossare l’abaya, la tunica nera islamica che lascia scoperti solo testa, piedi e mani, o che in ateneo debba rispettare un dress code che esclude minigonne e canottiere. «In fondo anche in un laboratorio italiano non potrei mai indossare sandali o abiti che mi scoprano le gambe, per evitare problemi se cade un reattivo». Valentina Carboni, nata a maggio di trentun anni fa a Castelplanio, 3.549 abitanti in provincia di Ancona, è ben felice di mettere a disposizione della King Abdullah University of Science and Technology i suoi titoli di studio: laurea e specializzazione in Chimica a Camerino (entrambi con lode), dottorato e post doc a Bologna più i sette mesi trascorsi all’université de Montreal come visiting research student. Anche se si è dovuta trasferire a Thuwal, un villaggio di pescatori a un’ora di macchina da Gedda, alle porte della Mecca. «Lo confesso, sono inqualificabile: ancora non sono andata sul Mar Rosso, ho fatto soltanto una bellissima gita nel deserto, dopo un anno e mezzo che stavo qui», ci racconta via Skype. Il suo post doc in Arabia Saudita finirà in autunno, ma spera di prolungarlo di un altro anno. «Se tornerò in Italia? Non so, mi piace pensare che tornerò in Europa, ovunque va bene». Con lei, in ateneo, ci sono altri cento italiani. «E sono bravissimi, più di me! Qui però amo soprattutto il fatto di potermi confrontare con persone provenienti da tutto il mondo: cambiare prospettiva continuamente ti apre tantissimo la mente».
@elvira_serra