«Cultura, non business La mia globalizzazione»
Il manifesto di Valli: caftani marocchini e tuniche indiane
PARIGI La globalizzazione? È una parola che non esiste nella realtà dei fatti. Solo un blabla-bla, perché nessuno la mette in atto. «Io con la mia moda ci voglio quanto meno provare». Così parlò Giambattista Valli. Lo stilista italiano che ha fatto fortuna a Parigi dopo la sua bella sfilata ripete all’infinito senza filtri il suo pensiero a parole, mentre in abiti lo fa cucendo addosso a una tribù di giovani donne viaggiatrici e curiose culture diverse, pezzi che ricordano i caftani del Marocco, le tappezzerie Afghane, le tuniche indiane ma anche l’inghilterra (i tweed) o l’italia (la confezione perfetta).
Incontri, clash, dove non ci sono barriere e confini, ma solo sensazioni. «Il mio lavoro è stato quello di rendere sempre discreto qualsiasi cenno. È uno scambio alla pari di culture rielaborato dalla mia viaggiatrice con la sua personalità». E ancora: «Non voglio sentire parlare di rivoluzioni, sono fuori tempo. Le donne oggi possono essere quello che sono senza entrare in conflitto con nessuno, non ne hanno bisogno».
È che Valli, più di tanti, crede nella forza delle ragazze. E l’uscita finale con tutte insieme, alcune che si tengono per mano, è un quadro alla «Quarto Stato» del Pellizza da Volpedo. «Non c’è bisogno che si comporti come un uomo per essere una donna libera, basta che sia donna». E cita le icone d’ispirazione, Oriana Fallaci e i suoi viaggi e Gabriella Crespi, designer e curiosa esploratrice di altri mondi. «Da sole, restando loro stesse, andavano e assorbivano e interagivano, veramente. Perché diciamolo: la globalizzazione è una finzione, solo business, nessuno ci crede. Guarda cosa è successo con le elezioni in Italia».
Sociale, politica e ambiente. Ci sono stilisti che quanto meno ci provano. Stella Mccartney è stata la prima della generazione eco-sostenibile. Senza pelle, pelliccia e materiali come plastiche e derivati. È addirittura arrivata a produrre le sue sneaker (antesignana anche in questo: le propose ovunque, nel 2005) evitando colle inquinanti. E una fake-pelle così duttile da riuscire in drappeggi perfetti. Poi, come molti, disfa e ricostruisce
d Le donne possono essere quello che sono senza entrare in conflitto con nessuno
e sovverte e nulla è come sembra: i gilet sovrapposti diventano giacche o i pantaloni sono in realtà short, le gonne diritte sono delle culotte calate, e le sottovesti lingerie perdono qualsiasi languore con sotto le lunghe braghe sportive.
È un po’ più confusa del solito la collezione, mentre l’uomo, che sfila per la prima volta, sportivo e cittadino, è più deciso.
Non una ma tante Elisabeth Vigée Le Brun, la dissoluta pittrice ritrattista ufficiale di Marie Antoinette, si materializzano sulla passerella-show di Thom Browne. Nel finale sei uomini travestiti da cane entrano al guinzaglio di un’amante-regina, la spogliano e lei resta in completo grigio da uomo.
È l’allegoria del genere neutro che è il credo di Thom Brown e che è la lettura di uno spettacolo, più che una sfilata. Deve essere l’aria parigina, perché anche da John Galliano la lingerie occhieggia ovunque: reggiseni e sottovesti ad alleggerire giacche e pantaloni e calzettoni scarpe maschili.
Una donna sempre in bilico, fra questo e quello. Dolcezza e forza. O viceversa?