Corriere della Sera

EGITTO, REPRESSION­E CONTRO IL DISSENSO PROBLEMA PIÙ GRAVE

- Di Lorenzo Cremonesi

Niente democrazia, candidati costretti al ritiro e minacce, peggio che in Turchia, alla libertà di stampa rendono più che mai una patetica farsa le elezioni presidenzi­ali in Egitto. Si voterà tra il 26 e 28 marzo. Con eventuale ballottagg­io un mese dopo. Ma le procedure elettorali appaiono ridicole, persino più inutili che ai tempi di Hosni Mubarak. Il risultato è scontato: vincerà l’attuale presidente Abdel Fattah al Sisi. Già decine di giornalist­i, avvocati e attivisti per i diritti civili sono statati arrestati, tanti senza processo. I blogger egiziani parlano di centinaia di desapareci­dos. Il caso Regeni docet. Se i servizi segreti egiziani hanno potuto impunement­e uccidere un ricercator­e italiano che lavorava per un noto ateneo inglese, possiamo immaginare con quale libertà infierisco­no contro i critici locali del regime. Così al Sisi ha metodicame­nte eliminato tutti i potenziali concorrent­i. I sistemi brutali li ha ben rodati dal suo golpe nel 2013 contro il governo dei Fratelli Musulmani. Ha «convinto» il suo concorrent­e più importante, l’ex premier Ahmed Shafik, a non candidarsi. Lo stesso ha fatto, ricorrendo a una miscela ambigua di premi e minacce, con l’ex capo di stato maggiore Sami Hafez Anan, e persino con un «nobile» della politica egiziana quale è Anwar Essmat Sadat, nipote del presidente Anwar Sadat assassinat­o dagli estremisti islamici nel 1981. Dopo aver imbavaglia­to i media egiziani, al Sisi ora avverte quelli stranieri che i loro diritti di critica sono «sorvegliat­i». «Se qualcuno insulta l’esercito o la polizia significa che sta offendendo tutti gli egiziani. E questa non può essere considerat­a come libertà d’opinione», ha detto in un tour a El Alamein. Di recente la polizia ha arrestato la madre di un’attivista per i diritti umani di cui sui sono perse la tracce e che aveva parlato alla Bbc. Il caso resta irrisolto, come tanti altri.

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