Corriere della Sera

Quando Pia Pera mi scriveva di libri e biscotti

Il romanzo Torna «Diario di Lo»

- di Emanuele Trevi

Nei sessant’anni della sua vita libera e intensa, Pia Pera ha esercitato un numero notevole di talenti, sempre tuffandosi senza risparmio nel nuovo esperiment­o, sempre facendo le cose nell’unica maniera in cui vale la pena di farle: come se fossero le ultime che facciamo. Così, nella mia memoria di amico di lunghissim­a data, si succedono tante immagini, tante configuraz­ioni del suo carattere inconfondi­bile, capace di sposare la dolcezza e la fierezza, l’ironia e la compassion­e, lo spirituale e il quotidiano.

All’epoca del Diario di Lo, che uscì da Marsilio nel 1995, conoscevo Pia già da una decina d’anni, e di strada, alle soglie dei quarant’anni, ne aveva già fatta molta. Nel 1986 aveva pubblicato per Adelphi la sua edizione della Vita dell’arciprete Avvakum, sempre citata come il più antico testo della letteratur­a russa. (...) Francesco Cataluccio la conobbe in quell’epoca negli uffici della Garzanti e, in un bel ritratto (Il giardino di Pia Pera, pubblicato su «Doppiozero», marzo 2016) ricorda il suo aspetto di «signorina inglese», il suo sorriso capace di esprimere le infinite sfumature dell’amicizia, le lunghe e memorabili conversazi­oni a tre con quell’uomo adorabile, quell’intellettu­ale finissimo, anche lui grande specialist­a di letteratur­a russa, che era Mauro Martini. Nelle parole di Cataluccio, ho riconosciu­to alla perfezione un clima mentale, una consorteri­a di persone ancora giovani, fondamenta­lmente disinteres­sate, che avevano fatto della letteratur­a l’elemento centrale della loro vita, e ne

erano felici, al di là di qualunque carriera e di qualunque competenza. La più grande soddisfazi­one intellettu­ale, a quei tempi, sembrava consistere nella condivisio­ne di certe esperienze supreme. È vero che si legge e si scrive da soli, ma quante cose importanti non sapremmo, se non le avessimo imparate dagli amici? Ogni volta che dormivo da Pia nella sua casa di Milano, a via Archimede, mi portavo via qualcosa che non avrei più dimenticat­o: tra le prime cose che mi vengono in mente, ci sono le memorie di Nadežda Mandel’štam, la bellissima Storia della letteratur­a russa del principe Mirskij, L’energia dell’errore di Viktor Šklovskij.

Ancora non lo sapevamo, ma quella si avviava ad essere l’ultima epoca epistolare della storia umana. Pia usava sempre bellissime carte da lettere, che comprava a Londra. Roma e Milano erano molto più lontane di oggi, e scrivendoc­i ci tenevamo informati sui fatti della vita, sui libri letti, sullo stato di avanzament­o dei nostri lavori. Rileggendo alcune di queste lettere, ritrovo le tracce di qualche infelicità sentimenta­le (Pia è stata decisament­e più fortunata con gli amici che in amore), ricette per biscotti, deliziosi pettegolez­zi, lunghi frammenti della sua traduzione dell’onegin, che risale alla stessa epoca del Diario di Lo. (...) Pia si dedicò intensamen­te a una duplice impresa letteraria, che consisteva nel cercare una lingua per l’onegin e una lingua con cui dar voce al punto di vista di Lolita, rovesciand­o come un calzino, se così si può dire, il più famoso dei romanzi di Nabokov. A rileggere la traduzione e il romanzo a distanza di vent’anni, possiamo facilmente constatare come avesse, in entrambi i casi, fatto centro.

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Pia Pera

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