Quando Pia Pera mi scriveva di libri e biscotti
Il romanzo Torna «Diario di Lo»
Nei sessant’anni della sua vita libera e intensa, Pia Pera ha esercitato un numero notevole di talenti, sempre tuffandosi senza risparmio nel nuovo esperimento, sempre facendo le cose nell’unica maniera in cui vale la pena di farle: come se fossero le ultime che facciamo. Così, nella mia memoria di amico di lunghissima data, si succedono tante immagini, tante configurazioni del suo carattere inconfondibile, capace di sposare la dolcezza e la fierezza, l’ironia e la compassione, lo spirituale e il quotidiano.
All’epoca del Diario di Lo, che uscì da Marsilio nel 1995, conoscevo Pia già da una decina d’anni, e di strada, alle soglie dei quarant’anni, ne aveva già fatta molta. Nel 1986 aveva pubblicato per Adelphi la sua edizione della Vita dell’arciprete Avvakum, sempre citata come il più antico testo della letteratura russa. (...) Francesco Cataluccio la conobbe in quell’epoca negli uffici della Garzanti e, in un bel ritratto (Il giardino di Pia Pera, pubblicato su «Doppiozero», marzo 2016) ricorda il suo aspetto di «signorina inglese», il suo sorriso capace di esprimere le infinite sfumature dell’amicizia, le lunghe e memorabili conversazioni a tre con quell’uomo adorabile, quell’intellettuale finissimo, anche lui grande specialista di letteratura russa, che era Mauro Martini. Nelle parole di Cataluccio, ho riconosciuto alla perfezione un clima mentale, una consorteria di persone ancora giovani, fondamentalmente disinteressate, che avevano fatto della letteratura l’elemento centrale della loro vita, e ne
erano felici, al di là di qualunque carriera e di qualunque competenza. La più grande soddisfazione intellettuale, a quei tempi, sembrava consistere nella condivisione di certe esperienze supreme. È vero che si legge e si scrive da soli, ma quante cose importanti non sapremmo, se non le avessimo imparate dagli amici? Ogni volta che dormivo da Pia nella sua casa di Milano, a via Archimede, mi portavo via qualcosa che non avrei più dimenticato: tra le prime cose che mi vengono in mente, ci sono le memorie di Nadežda Mandel’štam, la bellissima Storia della letteratura russa del principe Mirskij, L’energia dell’errore di Viktor Šklovskij.
Ancora non lo sapevamo, ma quella si avviava ad essere l’ultima epoca epistolare della storia umana. Pia usava sempre bellissime carte da lettere, che comprava a Londra. Roma e Milano erano molto più lontane di oggi, e scrivendoci ci tenevamo informati sui fatti della vita, sui libri letti, sullo stato di avanzamento dei nostri lavori. Rileggendo alcune di queste lettere, ritrovo le tracce di qualche infelicità sentimentale (Pia è stata decisamente più fortunata con gli amici che in amore), ricette per biscotti, deliziosi pettegolezzi, lunghi frammenti della sua traduzione dell’onegin, che risale alla stessa epoca del Diario di Lo. (...) Pia si dedicò intensamente a una duplice impresa letteraria, che consisteva nel cercare una lingua per l’onegin e una lingua con cui dar voce al punto di vista di Lolita, rovesciando come un calzino, se così si può dire, il più famoso dei romanzi di Nabokov. A rileggere la traduzione e il romanzo a distanza di vent’anni, possiamo facilmente constatare come avesse, in entrambi i casi, fatto centro.