Guerra a un nemico che cambia Cosa sappiamo oggi del cancro
La battaglia contro il cancro? È come quella di un tiratore che mira a un bersaglio che si sposta continuamente, cambia, si trasforma. Un «bersaglio mobile» come recita il titolo dell’ultimo libro di Alberto Mantovani, in uscita oggi per Mondadori. L’autore, direttore scientifico dell’istituto Humanitas di Milano e uno dei più importanti immunologi del mondo, toglie il velo alla vera e propria rivoluzione maturata nel corso degli ultimi anni nell’interpretazione dei tumori. Un cambiamento radicale di prospettiva che si è realizzato passo dopo passo, senza il clamore di un singolo «big bang», ma che ha modificato profondamente la visione della malattia e l’approccio ad essa.
Ci si era ormai abituati all’idea che il cancro avesse molte varianti (non «il» tumore della mammella, o «quello» del polmone, ma tanti tipi diversi dell’uno e dell’altro) e diversi livelli di gravità (poco o tanto differenziato, localizzato, metastatico), però spiazza apprendere che anche un singolo cancro non rimane uguale a se stesso, ma cambia nel corso del tempo, persino durante le cure. Il motivo? È per natura geneticamente instabile, altrimenti non potrebbe essere quello che è e fare ciò che fa. Altra sorpresa: da solo non può sopravvivere, ha bisogno di un ambiente adatto per crescere e di procurarsi alleati per difendersi dagli attacchi del nostro sistema immunitario. E siamo noi stessi a fornirgli l’uno e gli altri, perché il cancro sa fabbricare fake news, vere e proprie informazioni distorte che diffonde usando la lingua del nostro sistema di difesa, le sue «parole chimiche», le citochine. Con queste convince alcune cellule che dovrebbero distruggerlo a tradire, persuadendole a schierarsi contro le milizie fedeli che provano a eliminarlo.
Un nemico trasformista, astuto ed elusivo. Difficile da sconfiggere, ma non impossibile. Le armi che si stanno studiando, e che già si cominciano a usare, sono capaci di riconoscere le sue trasformazioni e i suoi «piani» e agire di conseguenza. I ricercatori battono molte strade. C’è chi prova a tagliargli i rifornimenti con gli inibitori dell’angiogenesi (che impediscono di fabbricare nuovi vasi per procurarsi nutrimento). C’è chi studia bersagli stabili nelle sue cellule per «sparargli» proiettili precisissimi e chi punta a suoi processi biochimici specifici per sabotarli (con anticorpi monoclonali e terapie target). C’è chi affina la precisione della radioterapia e l’efficacia della chirurgia o dei farmaci tradizionali. C’è poi chi cerca di «riconvertire» le cellule deviate, e chi prova a togliere i freni (che in sé sono utili) al sistema immunitario, in modo da scatenarlo senza remore contro il tumore, cercando al contempo di evitare che faccia danni al resto dell’organismo. Gli ultimi due, in estrema sintesi, sono i compiti che si danno gli studiosi che si occupano di immunoterapia dei tumori. È questo l’ultimo «grido» di cui si sente parlare sempre più spesso e che l’autore illustra in modo magistrale.
Alla fine, anche se può essere in qualche caso non facilissimo seguire tutte le sigle che contrassegnano le sottodivisioni delle nostre truppe immunologiche con i rispettivi ordini di servizio, la strategia appara chiara, nella sua efficacia, nelle sue prospettive e anche nei suoi limiti, per ora evidenti. La misura, del resto, è uno dei codici costanti in tutto il libro, che si fa apprezzare per il nitore della trattazione e anche per un marcato understatement, che però non smorza mai l’interesse del lettore, trascinato comunque dall’entusiasmo dell’autore, che comunque traspare in tralice. Alla fine sembra di aver letto un racconto più che un saggio e si rimane arricchiti di contenuti e informazioni non solo interessanti ma anche utili. Non mancano infatti argomentati richiami all’intelligenza di adottare stili di vita che possono giocare un ruolo decisivo nella prevenzione dei tumori, dall’alimentazione all’esercizio fisico, alla diagnosi precoce grazie agli screening, alla vaccinazione contro virus che possono condurre in seconda istanza a tumori, come l’hpv o quello dell’epatite B. I geni giocano la loro partita nella formazione dei tumori, la sfortuna e la fortuna hanno il loro peso. Ma noi possiamo fare la nostra parte. E non partiamo battuti. Tutt’altro.
I meccanismi
Il tumore sa fabbricare «fake news» e usare la lingua del nostro sistema immunitario