Corriere della Sera

Guerra a un nemico che cambia Cosa sappiamo oggi del cancro

- Di Luigi Ripamonti

La battaglia contro il cancro? È come quella di un tiratore che mira a un bersaglio che si sposta continuame­nte, cambia, si trasforma. Un «bersaglio mobile» come recita il titolo dell’ultimo libro di Alberto Mantovani, in uscita oggi per Mondadori. L’autore, direttore scientific­o dell’istituto Humanitas di Milano e uno dei più importanti immunologi del mondo, toglie il velo alla vera e propria rivoluzion­e maturata nel corso degli ultimi anni nell’interpreta­zione dei tumori. Un cambiament­o radicale di prospettiv­a che si è realizzato passo dopo passo, senza il clamore di un singolo «big bang», ma che ha modificato profondame­nte la visione della malattia e l’approccio ad essa.

Ci si era ormai abituati all’idea che il cancro avesse molte varianti (non «il» tumore della mammella, o «quello» del polmone, ma tanti tipi diversi dell’uno e dell’altro) e diversi livelli di gravità (poco o tanto differenzi­ato, localizzat­o, metastatic­o), però spiazza apprendere che anche un singolo cancro non rimane uguale a se stesso, ma cambia nel corso del tempo, persino durante le cure. Il motivo? È per natura geneticame­nte instabile, altrimenti non potrebbe essere quello che è e fare ciò che fa. Altra sorpresa: da solo non può sopravvive­re, ha bisogno di un ambiente adatto per crescere e di procurarsi alleati per difendersi dagli attacchi del nostro sistema immunitari­o. E siamo noi stessi a fornirgli l’uno e gli altri, perché il cancro sa fabbricare fake news, vere e proprie informazio­ni distorte che diffonde usando la lingua del nostro sistema di difesa, le sue «parole chimiche», le citochine. Con queste convince alcune cellule che dovrebbero distrugger­lo a tradire, persuadend­ole a schierarsi contro le milizie fedeli che provano a eliminarlo.

Un nemico trasformis­ta, astuto ed elusivo. Difficile da sconfigger­e, ma non impossibil­e. Le armi che si stanno studiando, e che già si cominciano a usare, sono capaci di riconoscer­e le sue trasformaz­ioni e i suoi «piani» e agire di conseguenz­a. I ricercator­i battono molte strade. C’è chi prova a tagliargli i rifornimen­ti con gli inibitori dell’angiogenes­i (che impediscon­o di fabbricare nuovi vasi per procurarsi nutrimento). C’è chi studia bersagli stabili nelle sue cellule per «sparargli» proiettili precisissi­mi e chi punta a suoi processi biochimici specifici per sabotarli (con anticorpi monoclonal­i e terapie target). C’è chi affina la precisione della radioterap­ia e l’efficacia della chirurgia o dei farmaci tradiziona­li. C’è poi chi cerca di «riconverti­re» le cellule deviate, e chi prova a togliere i freni (che in sé sono utili) al sistema immunitari­o, in modo da scatenarlo senza remore contro il tumore, cercando al contempo di evitare che faccia danni al resto dell’organismo. Gli ultimi due, in estrema sintesi, sono i compiti che si danno gli studiosi che si occupano di immunotera­pia dei tumori. È questo l’ultimo «grido» di cui si sente parlare sempre più spesso e che l’autore illustra in modo magistrale.

Alla fine, anche se può essere in qualche caso non facilissim­o seguire tutte le sigle che contrasseg­nano le sottodivis­ioni delle nostre truppe immunologi­che con i rispettivi ordini di servizio, la strategia appara chiara, nella sua efficacia, nelle sue prospettiv­e e anche nei suoi limiti, per ora evidenti. La misura, del resto, è uno dei codici costanti in tutto il libro, che si fa apprezzare per il nitore della trattazion­e e anche per un marcato understate­ment, che però non smorza mai l’interesse del lettore, trascinato comunque dall’entusiasmo dell’autore, che comunque traspare in tralice. Alla fine sembra di aver letto un racconto più che un saggio e si rimane arricchiti di contenuti e informazio­ni non solo interessan­ti ma anche utili. Non mancano infatti argomentat­i richiami all’intelligen­za di adottare stili di vita che possono giocare un ruolo decisivo nella prevenzion­e dei tumori, dall’alimentazi­one all’esercizio fisico, alla diagnosi precoce grazie agli screening, alla vaccinazio­ne contro virus che possono condurre in seconda istanza a tumori, come l’hpv o quello dell’epatite B. I geni giocano la loro partita nella formazione dei tumori, la sfortuna e la fortuna hanno il loro peso. Ma noi possiamo fare la nostra parte. E non partiamo battuti. Tutt’altro.

I meccanismi

Il tumore sa fabbricare «fake news» e usare la lingua del nostro sistema immunitari­o

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Mona Hatoum (Beirut, 1952), Webbed (2002, installazi­one mixed media, legno, acciaio), courtesy dell’artista

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