Corriere della Sera

La frammentaz­ione dei grandi favoriti

- di Paolo Mereghetti

Ci insegna qualcosa questo Oscar che ha incoronato La forma dell’acqua e Guillermo del Toro ma ha trasformat­o tredici nomination in soli quattro premi (oltre ai primi due, quello per la scenografi­a e la musica)? Probabilme­nte che Hollywood non è più capace di sfornare prodotti davvero mainstream, capaci di sbancare il box office ma anche di essere applauditi con convinzion­e (e tanti premi) dalla stessa industria. Per trovare un vero cappotto bisogna risalire al 2009 con Millionair­e (otto Oscar) o al 2004 e alle undici statuette per Il signore degli anelli – Il ritorno del re. Trans Daniela Vega e il cast di «Una donna fantastica»

L’altro messaggio passa attraverso i tanti elogi ascoltati per Fox Searchligh­t, la società che produce film a «piccolo» budget (come il vincitore e Tre manifesti) e che il passaggio di 20th Fox, che la controlla, alla Disney rischia di far sparire, mettendo ancor più in crisi i progetti meno convenzion­ali, come appunto quelli che hanno dominato questa edizione degli Oscar. Per il resto tutto è andato secondo le previsioni o quasi. Non sono state certo sorprese i premi agli attori, sia maschi che femmine, sia protagonis­ti che non, né quelli alle sceneggiat­ure (originali e non). Così come la sconfitta annunciata di Il filo nascosto, il film più bello (per una volta, aggettivo assolutame­nte pertinente) tra quelli in gara. Fa piacere il premio al miglior film straniero per Una donna fantastica, anche se forse è merito di una lettura superficia­le del film (il cui vero senso non è la difesa della «diversità» — perché la protagonis­ta è transgende­r — ma il rispetto per l’ambiguità e il mistero della sessualità umana). Mentre ci si chiede se fosse necessario lo spottone a favore dei soldati americani, di cui francament­e ci è sfuggito il senso.

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