La frammentazione dei grandi favoriti
Ci insegna qualcosa questo Oscar che ha incoronato La forma dell’acqua e Guillermo del Toro ma ha trasformato tredici nomination in soli quattro premi (oltre ai primi due, quello per la scenografia e la musica)? Probabilmente che Hollywood non è più capace di sfornare prodotti davvero mainstream, capaci di sbancare il box office ma anche di essere applauditi con convinzione (e tanti premi) dalla stessa industria. Per trovare un vero cappotto bisogna risalire al 2009 con Millionaire (otto Oscar) o al 2004 e alle undici statuette per Il signore degli anelli – Il ritorno del re. Trans Daniela Vega e il cast di «Una donna fantastica»
L’altro messaggio passa attraverso i tanti elogi ascoltati per Fox Searchlight, la società che produce film a «piccolo» budget (come il vincitore e Tre manifesti) e che il passaggio di 20th Fox, che la controlla, alla Disney rischia di far sparire, mettendo ancor più in crisi i progetti meno convenzionali, come appunto quelli che hanno dominato questa edizione degli Oscar. Per il resto tutto è andato secondo le previsioni o quasi. Non sono state certo sorprese i premi agli attori, sia maschi che femmine, sia protagonisti che non, né quelli alle sceneggiature (originali e non). Così come la sconfitta annunciata di Il filo nascosto, il film più bello (per una volta, aggettivo assolutamente pertinente) tra quelli in gara. Fa piacere il premio al miglior film straniero per Una donna fantastica, anche se forse è merito di una lettura superficiale del film (il cui vero senso non è la difesa della «diversità» — perché la protagonista è transgender — ma il rispetto per l’ambiguità e il mistero della sessualità umana). Mentre ci si chiede se fosse necessario lo spottone a favore dei soldati americani, di cui francamente ci è sfuggito il senso.