Corriere della Sera

Dalla e Battisti, l’emozione della musica e i segreti della cultura pop

- Di Aldo Grasso

Si fa presto a dire eredità. Domenica pomeriggio, è andata in onda un’edizione speciale di «Techeteche­tè» dedicata a Lucio Battisti e Lucio Dalla, i due cantautori nati a distanza di poche ore l’uno dall’altro. Avrebbero compiuto 75 anni: Dalla domenica 4 marzo e Battisti ieri, 5 marzo.

Il titolo non faceva presagire granché, «L’importanza di chiamarsi Lucio», ma il repertorio delle teche non delude mai: Dalla che duetta con Fiorello o con De Gregori, un timido Battisti ospite di Renzo Arbore, Lucio e Mina, la famosa parodia di Walter Chiari della canzone «Non è Francesca»…

Basta un niente, un lacerto di un vecchio programma, e subito tornano alla mente canzoni come «Emozioni», «Mi ritorni in mente», «Acqua azzurra, acqua chiara», «I giardini di marzo», «Dieci ragazze», «Il mio canto libero». Basta sentire un verso come «Santi che pagano il mio pranzo non ce n’è…» o «Ti hanno vista bere a una fontana che non ero io / ti hanno vista spogliata la mattina, birichina biricò» e si capisce subito la forza di certe canzoni.

Nostalgia? Non solo: in fondo, i grandi cantanti non fanno altro che trasportar­e nei loro discorsi il segreto della cultura pop. Che è questo: tutto ciò che è troppo stupido per essere detto, può essere cantato. La canzone, come nel caso di Dalla e Battisti, è l’unica arte capace di dare voce al nostro sentimenta­lismo, un sentimenta­lismo cui abbiamo diritto. Questa è la loro grande eredità. Poi c’è l’altra eredità. Alla morte di Dalla sono spuntati i parenti a rivendicar­e quello che pareva destinato a Marco Alemanno, compagno degli ultimi anni di vita di Lucio. La memoria di Battisti rischia di essere pericolosa­mente compromess­a da un’annosa grana legale che contrappon­e la moglie, Grazia Letizia Veronese, al paroliere Mogol. L’importanza di chiamarsi Lucio. Per fortuna il copyright della memoria non è materia legale.

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