M5S e Lega puntano sulla crisi Pd
Al via le manovre per il futuro governo. Renzi ai suoi: chi vuole appoggiare i Cinque Stelle lo dica in direzione Di Maio: parliamo con tutti. Salvini: c’è interesse a sinistra. I dem spaccati, Calenda si iscrive
Il Pd è in crisi. Non ha raggiunto il 19 per cento. E il segretario Matteo Renzi si è «dimesso» ma lascerà «solo dopo la formazione del nuovo governo». Ecco, appunto, il problema dell’italia in questo momento: la formazione del nuovo esecutivo. Le elezioni hanno consegnato un Parlamento spaccato, mettere insieme i pezzi del puzzle non è semplice. Il pentastellato Di Maio: pronti a parlare con tutti. Il leghista Salvini: c’è interesse a sinistra. Renzi cerca di evitare fughe in avanti: chi nel partito vuole appoggiare i Cinque Stelle lo dica in direzione. E il ministro Carlo Calenda: «Il partito va risollevato, mi iscrivo».
ROMA Matteo Salvini parla quasi da premier incaricato: «Ho fatto una campagna elettorale in lungo e in largo per Salvini premier, ci hanno dato come centrodestra 12 milioni di voti, 5 alla Lega e poi mi dicono, cosa fai, ti scansi?». No, non si scansa affatto il leader del Carroccio: «Se ci chiamano, siamo pronti a lavorare da domani».
In che modo dovrebbero arrivare gli oltre 50 voti che mancano alla sua coalizione per governare non è chiaro. Ma è evidente che Salvini è disposto a guardare anche in direzione della sinistra che i voti li avrebbe per far nascere un governo. «In questa fase — dice in un’intervista al Corriere Veneto — ho il dovere di ascoltare tutti: anche il Pd, anche la Boldrini, se serve all’italia». Non i grillini: «Mai nella vita, quella dell’alleanza Lega-m5s è una fake news. No. Io rispetto il voto a loro perché l’elettore ha sempre ragione. Però è un voto di assistenza, pauperista. Io e Di Maio abbiamo due idee di Italia diverse: per lui è l’assistenzialismo del reddito di cittadinanza; per me il rilancio e lo sviluppo della flat tax».
E però, Salvini esclude larghe intese: «Di un accordo di governo, di partito, non se ne parla proprio, neanche col Pd. Poi chiaro, io ho un mio programma, sono a capo del partito che guida la coalizione più votata dal Paese, ho l’aspirazione di diventare premier. Ho il dovere di ascoltare tutti, scherziamo? Abolizione della legge Fornero, tassa unica al 15%, legittima difesa, stop all’immigrazione: chi ci sta, ci sta». Insomma, il tentativo andrà fatto: «Renzi paga la sua arroganza. Peccato, perché c’è una tradizione di sinistra che non vota o che guarda alla Lega, e cercheremo di raccogliere queste forze».
Ad Arcore però, dove si è riunito con il leader tutto lo stato maggiore del partito, si fanno discorsi più complessi. La situazione è bloccata, è il ragionamento, ed è bene muoversi senza fare accelerazioni. Il primo passaggio sarà quello dell’elezione dei presidenti delle Camere, che potrebbe essere il viatico di una possibile maggioranza, ma ancora bisogna capire «chi guiderà il Pd, se si spaccherà tra sostenitori di un’intesa con i grillini da una parte e Renzi dall’altra, se il capo dello Stato darà loro l’incarico per tentare un accordo tra M5S e Pd» che, ritengono Berlusconi e i suoi, «sarebbe la morte del Pd».
Qualora questa strada fallisse, ragionano in FI, la palla passerebbe al centrodestra. E si aprirebbero scenari del tutto nuovi. Magari Salvini non riuscirebbe a chiudere un accordo col Pd o una sua parte, ma un forzista più moderato invece potrebbe riuscirci.
Anche per questo, pur confermando che la delegazione del centrodestra andrà unita al Quirinale, da FI rimarcano come stia già partendo un processo di rafforzamento e rilancio del partito, che non smobilita affatto e non è così debole come si dice: «Abbiamo il secondo gruppo al Senato dopo il M5S, siamo più dei leghisti...». E se non è un avvertimento, ci somiglia.