Corriere della Sera

IL FEDERATORE CHE NON C’È

Scenario L’attuale «tripolaris­mo» divide l’italia in blocchi con aspirazion­i diverse. La vera arte di governo è sempre stata impedire che entrassero in rotta di collisione

- di Angelo Panebianco

La chiave per interpreta­re il futuro della politica italiana è contenuta nella geografia del voto: i Cinque Stelle vanno bene in molti luoghi ma «sfondano» nell’italia meridional­e, il centrodest­ra domina il Nord, il Pd resta insediato, pur avendo subito durissimi colpi anche lì, in alcune delle tradiziona­li, antiche, zone rosse. Anziché di III Repubblica è forse più appropriat­o parlare di «Repubblica senza federatore».

Limitando il discorso all’età democratic­a l’italia ha sempre avuto bisogno di un federatore, ossia di una formazione politica capace di tenere insieme la Lombardia e la Sicilia, il Piemonte e la Campania, il Veneto e la Calabria, il Friulivene­zia Giulia e la Sardegna. Per stemperare le tensioni fra Nord e Sud, per disporre di una camera di compensazi­one extraparla­mentare, per assicurare un luogo di mediazione fra interessi territoria­li divergenti.

Nell’età della guerra fredda, per un cinquanten­nio, fu la Democrazia Cristiana a svolgere il ruolo del federatore. In seguito quel ruolo passò, dapprima, a Silvio Berlusconi e al centrodest­ra. In seguito, diventò la principale posta in gioco nel duello fra centrodest­ra e centrosini­stra. Il «partito della nazione» evocato da Matteo Renzi nei suoi giorni di gloria era precisamen­te, nelle intenzioni, il nuovo, emergente, federatore.

La caratteris­tica della politica italiana di oggi è che quel ruolo non appartiene più a nessuno. Non ci sono più camere di compensazi­one, le tensioni Nord/ Sud sono probabilme­nte destinate ad acutizzars­i, la «politica territoria­le» (la lotta per la spartizion­e delle risorse fra i diversi territori) diventerà molto più visibile di un tempo, forse arriverà a dominare l’agenda parlamenta­re.

È certo che un gruppo politico fortemente meridional­izzato quale è oggi il movimento 5Stelle dovrà tentare di ridistribu­ire risorse verso il Sud: il reddito di cittadinan­za è, al tempo stesso, un programma e una bandiera. È altrettant­o certo che le zone produttive del Paese resisteran­no a un simile tentativo di ridistribu­zione della ricchezza e che di questa resistenza non potrà non farsi interprete una coalizione così nettamente «nordista» quale è il centrodest­ra.

Si noti, da questo punto di

Reddito di cittadinan­za In base al programma M5S dovrà tentare di ridistribu­ire risorse verso il Sud

vista, la posizione paradossal­e in cui potrebbe trovarsi, da qui a poco, la Lega. Con Matteo Salvini essa ha abbandonat­o tanto il ruolo che Umberto Bossi le aveva assegnato di «sindacato territoria­le», di partito preposto alla difesa degli interessi del Nord, quanto l’ideologia (secessioni­sta-federalist­a) corrispond­ente. Salvini ha scelto di ridefinire la «ragione sociale» della Lega trasforman­dola in un movimento di tipo nazional-lepenista.

La scelta è stata pagante: ha permesso alla Lega di divenre tare il terzo partito superando Berlusconi e arrivando a una incollatur­a dal Pd. Per giunta, voti per la Lega ci sono stati anche in zone del Sud d’italia ove un tempo nessun elettore aveva mai scelto quel partito. Ma è anche un fatto che la sua maggiore crescita si dà al Nord (oltre che in certe aree del Centro).

È quindi possibile che Salvini, pressato dalle circostanz­e, sia costretto a recuperare alcuni di quei temi «nordisti» che appartenev­ano all’epoca di Bossi e da lui accantonat­i. Se, come è probabile, entro non molto tempo, i 5Stelle dovranno premere per una ridistribu­zione di risorse che

È possibile che Salvini sia costretto a recuperare temi «nordisti» da lui stesso accantonat­i

premi i territori in cui hanno mietuto più consensi, difficilme­nte la Lega potrà evitare di opporsi. Poiché l’appetito vien mangiando è probabile che Salvini coltivi oggi la speranza (o l’illusione: si vedrà in seguito) di incamerare entro non molto tempo ampia parte dell’elettorato di Forza Italia. Ma allora non potrà che porsi a difesa, insieme alla stessa Forza Italia, degli interessi delle aree produttive del Nord e del Centro.

È il principale limite insito nell’uso della categoria «populismo»: impedisce di vede- che le varie formazioni in questo modo etichettat­e — come i 5Stelle e la Lega — dispongono spesso di bacini di consenso diversi, e finiscono per assumere la rappresent­anza di interessi differenti.

Se, come qui si ipotizza, i conflitti territoria­li acquistera­nno, a causa dell’assenza di un federatore, grande rilievo e grande visibilità, allora è facile scommetter­e che i guai per lo sconfitto Partito democratic­o siano solo all’inizio. Perché se una parte del partito punterà ad allearsi con i 5Stelle, un’altra parte non ne vorrà proprio sapere. Anche se il suo peso nelle tradiziona­li roccaforti è in declino, esso non può certo spezzare i legami con luoghi (come quelli dell’emilia e della Romagna) che per fisionomia economica ed interessi sono più prossimi alla Lombardia o al Veneto che a certe regioni del Sud. Le tensioni territoria­li potrebbero perciò avere un ruolo non indifferen­te nel Pd del dopo-renzi.

L’attuale «tripolaris­mo» italiano non taglia trasversal­mente la Penisola, la divide piuttosto in zone, in blocchi regionali. Ciò aggiunge complicazi­one a complicazi­one per coloro che saranno impegnati nell’arduo tentativo di dare un governo al Paese.

L’italia è il contenitor­e di diverse Italie diversamen­te organizzat­e, diversamen­te funzionant­i, e con domande, aspirazion­i e interessi differenti. La vera arte di governo, qui da noi, è sempre consistita nella capacità di impedire che esse entrassero in rotta di collisione.

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