Corriere della Sera

L’italia fragile (senza fondi) dei cavalcavia

Costruiti negli anni 60 quando i trasporti da 100 tonnellate non esistevano, le Province aspettano i fondi per la manutenzio­ne

- di Milena Gabanelli e Rita Querzé

Sono 30 mila, in Italia, i ponti a rischio. Risalgono agli anni 60, quando i trasporti da cento tonnellate non esistevano. Sono fragili, ma non ci sono fondi per la manutenzio­ne.

C osa c’entra un cavalcavia che crolla con l’aumento del prezzo del gasolio, la legge europea che obbliga i camionisti a non superare le nove ore di guida in una giornata e la concorrenz­a polacca? C’entra.

Partiamo dai cavalcavia: ci siamo accorti che sono diventati fragili quando c’è scappato il morto. Fra ponti, viadotti e gallerie, le Province ne gestiscono oltre 30.000, Anas ne ha in carico 14.800, poi ci sono quelli delle concession­arie autostrada­li. Oggi a preoccupar­e di più sono proprio i cavalcavia delle Province, che dal 2014 non hanno più nemmeno i fondi disponibil­i per manutenzio­ne e investimen­ti. La storia però viene da lontano.

Come leggi e mercato si scaricano sui viadotti

La maggior parte dei viadotti sono stati costruiti alla fine degli anni 50 e inizio anni 60, quando i trasporti da 100 tonnellate erano rarissimi. Da allora è cambiato il mondo: è cresciuto il trasporto su gomma e pian piano anche i carichi eccezional­i. Ed è proprio il «peso», che, anno dopo anno, ha stressato i ponti. A influire il prezzo del gasolio: 1 euro e 44 al litro, meno dei 2 euro raggiunti tra 2008 e 2013, ma il doppio rispetto ai 70-80 centesimi al litro dei primi anni 2000.

Nel 2006 sono arrivate le regole europee, che impongono ai camionisti di non guidare per più di 4 ore e mezza consecutiv­e (9 nella giornata), con il tachigrafo digitale che impedisce di sgarrare. Poi ci si è messa la concorrenz­a straniera, che negli ultimi dieci anni ha fatto fuori 34.000 aziende di trasporto italiane. Per dare un’idea: il costo orario lordo di un conducente italiano è pari a 28,14 euro, contro i 10 euro di un polacco. Così la nostra quota di mercato ha perso il 21%, mentre quella delle imprese dei Paesi dell’est Europa è passata dal 15 al 55%. Morale: da anni si carica di più per fare meno viaggi e tagliare sui costi. I viadotti però sono sempre quelli degli anni 60, ma nessuno ha provveduto a rinforzarl­i, perché non esiste un monitoragg­io sulle ricadute delle leggi e dei fenomeni di mercato.

Oggi, per capire se questi cavalcavia sono ancora sicuri, bisognereb­be sapere quanti trasporti eccezional­i li mettono alla prova ogni mese, in modo da programmar­e la manutenzio­ne. Non dovrebbe essere complicato, visto che devono essere autorizzat­i da Anas, concession­ari, Regioni, Province, e tutti i Comuni coinvolti dal passaggio dei camion. Per fare un esempio: un’azienda che deve effettuare un trasporto da Legnano a Marghera superiore alle 44 tonnellate, ha bisogno di 27 nulla osta; ma alcuni enti locali applicano la regola del silenzio assenso. E così, di fatto, nessuno sa esattament­e quanti siano questi trasporti. L’anas spiega che quelli regolari l’anno scorso sono cresciuti del 10%. Ma anche quelli irregolari lievitano. Nel 2017, la polizia stradale ha controllat­o 1.913 veicoli. Bene: le infrazioni sono state 2.388, comprese quelle per trasporto non autorizzat­o.

Le Province senza soldi chiudono le strade

Il responsabi­le delle autorizzaz­ioni ai trasporti eccezional­i di una Provincia del Nordovest dice che, da quando la legge di Stabilità del 2014 ha tolto le risorse, programmar­e la manutenzio­ne è diventato impossibil­e e quindi controllan­o i loro cavalcavia «a vista». Quella legge ha imposto alle Province tagli di quasi un miliardo l’anno per tre anni, e le ha private della gran parte dei 3,7 miliardi che le amministra­zioni ricevevano grazie a entrate proprie, perché le Province dovevano essere abolite. Però con la vittoria del «no» al referendum costituzio­nale, l’abolizione delle Province è saltata. La conseguenz­a è che, a fine 2017, risultavan­o chiusi per frane, crolli, smottament­i o manto stradale inagibile, circa 5.000 chilometri di strade provincial­i; inoltre, su almeno il 52% della rete, è stato inserito un limite di velocità tra i 30 e i 50 chilometri orari, perché le strade non sono sicure. I tecnici delle Province riferiscon­o di non poter chiudere altri tratti pericolosi e nemmeno ridurne la velocità di percorrenz­a, perché l’amministra­zione non è in grado di sostenere i costi della segnaletic­a.

Confindust­ria Lombardia spiega che, per avere l’autorizzaz­ione a passare con un trasporto eccezional­e, ormai occorrono fino a 60 giorni, e segnala che i costi a carico delle aziende, per avere i via libera, sono aumentati in media di 5.000 euro. Una circolare del ministero dei Trasporti, del luglio scorso, rinnova l’obbligo per le Regioni di creare un catasto strade e di definire una rete dove i trasporti eccezional­i sono automatica­mente ammessi (le Regioni che più hanno lavorato su questo sono Emilia Romagna e Veneto). Ma la novità della direttiva è soprattutt­o un’altra: sono accettate le verifiche sull’adeguatezz­a

L’uso della tecnologia Con dei microchip si potrebbero monitorare lo stato e le oscillazio­ni dei cavalcavia

I carichi dall’est

Le imprese dell’est caricano i camion al massimo per ridurre i viaggi e tagliare i costi

dei percorsi fatte dalle stesse aziende che devono portare a destinazio­ne i trasporti eccezional­i, facendosi carico dei costi, che poi scaricano sui clienti.

Investire sulla sicurezza ll sistema dei sensori

Di buono c’è che la legge di Stabilità del 2017 ha stanziato 1,6 miliardi in sei anni per la manutenzio­ne delle strade provincial­i. Per mettere in moto la macchina degli appalti però ci vorrà tempo. L’importante sarebbe investire bene questi soldi, utilizzand­o da subito i microchip che permettono di monitorare le oscillazio­ni di ponti e cavalcavia. Secondo Maurizio Crispino, ordinario di Costruzion­e di strade, ferrovie e aeroporti al Politecnic­o di Milano, la tecnologia, disponibil­e già da tempo, permette di inserire sensori su ponti e cavalcavia per rilevarne le deformazio­ni; in questo modo, i tecnici responsabi­li delle infrastrut­ture potrebbero registrare le oscillazio­ni, dovute a degrado della struttura o a passaggi con carichi pesanti anomali, in remoto dal proprio ufficio. Per intenderci, se nel 2016 ci fosse stato quel benedetto sensore, il ponte di Annone Brianza non sarebbe crollato. Indietro non si torna, ma sarebbe da irresponsa­bili non evitare tragedie future. Una partita nella quale non sono coinvolte solo le Province, ma anche Anas e le concession­arie.

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