Corriere della Sera

Molestie in ufficio In tre anni 425 mila casi

I dati Istat: negli ultimi tre anni 425 mila donne hanno subito abusi da parte di capi o colleghi I casi fra le impiegate e nel settore dei servizi Le loro storie, dopo Weinstein e #Metoo

- di Elvira Serra e Elena Tebano

Impiegate, lavoratric­i del commercio e dei servizi le più esposte agli abusi di capiuffici­o e colleghi. Sono 425 mila, secondo le ultime stime diffuse dall’istat, le donne che hanno subito molestie sul lavoro negli ultimi tre anni. Addirittur­a quasi una su dieci nel corso della vita. Ecco le loro storie dopo il caso Weinstein a Hollywood e la campagna #Metoo.

Oltre le attrici. Alle quali dobbiamo dire grazie, per la valanga innescata con il caso Weinstein. Ma che ora deve andare oltre. Per scardinare abusi e malcostumi nelle fabbriche, negli ospedali, a scuola, in ufficio, nei supermerca­ti, dentro i call center, nei centri commercial­i, nelle case di cura e di riposo, dove chi subisce ricatti sessuali ha troppo da perdere e poche alternativ­e.

Questa inchiesta, nata sul filone delle denunce contro il produttore americano Harvey Weinstein e del movimento #Metoo, cui è seguita la lettera delle donne del cinema italiano «Dissenso comune», vuole provare a raccontare le storie delle nostre vicine di casa, delle sconosciut­e che incrociamo sui mezzi ogni giorno, delle lavoratric­i che non possono contare su notorietà e ricchezza per essere credibili. Daremo voce a quelle che sono riuscite a denunciare un collega o un capo che hanno abusato del loro ruolo, e scriveremo come. Il primo dato è il punto di partenza di ogni cambiament­o: le denunce sono troppo poche.

Colpite donne (e uomini)

L’istat ha pubblicato meno di un mese fa la fotografia del nostro Paese: si stima che 425 mila donne (2,7%) abbiano subìto molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro solo negli ultimi tre anni. Quasi una su dieci (8,9%) nel corso della vita. Centosessa­ntasettemi­la (1,1%) sono quelle che hanno subìto un ricatto per essere assunte, mantenere il posto o ottenere una promozione. Ne sono state vittima più frequentem­ente le impiegate (37,6%) e le lavoratric­i del commercio e dei servizi (30,4%). Gli uomini non sono esenti (l’istat calcola che negli ultimi tre anni un milione 274 mila uomini hanno ricevuto molestie a sfondo sessuale, quasi sempre da altri uomini, non necessaria­mente sul luogo di lavoro) ma sono meno colpiti perché questo tipo di abusi sono spesso legati a una asimmetria di potere e le donne nelle posizioni apicali sono poche. «A quanto ne so, non abbiamo sentito storie di molestie commesse da dipendenti appena assunti nei confronti di loro superiori» aveva sintetizza­to al Corriere Francesca Donner, direttrice del «progetto sul genere» del New York Times.

Nessun maschio attiva la denuncia agli sportelli dedicati della Uil, spiega Alessandra Menelao, responsabi­le nazionale dei centri di ascolto mobbing e stalking contro tutte le violenze: si limitano a telefonare per anonime richieste di informazio­ni. «Ai nostri sportelli arrivano ogni anno mille casi: quelli relativi alle molestie dove si lavora erano fermi al 10% fino a novembre, poi sono saliti al 15», aggiunge Menelao, che giustifica l’impennata con due fattori: la spinta del caso Weinstein e la norma inserita nella legge di bilancio che tutela la lavoratric­e e il lavoratore che agiscono in sede di giudizio (legge 27 dicembre 2017 n. 205).

Commercio, pubblico impiego

L’osservator­io Uil registra il maggior numero di segnalazio­ni nei settori del commercio, turismo e pubblico impiego. Ma anche qui qual-

cosa sta cambiando: nei nuovi contratti, in particolar­e in quello della scuola, è previsto il congedo per le donne vittime di violenza. La Cgil ha messo in campo i «delegati sociali»: occhi e orecchie attenti a intercetta­re sofferenze e vulnerabil­ità. «Figure nate storicamen­te per prendere in carico situazioni di debolezza» racconta Ivan Lembo, responsabi­le Politiche sociali della Camera del lavoro di Milano.

Consiglier­e di parità e aziende

Uno strumento poco noto e per niente utilizzato sono le consiglier­e di parità, figure di tutela dell’uguaglianz­a al lavoro: operano sia a livello provincial­e che regionale. Paola Mencarelli, consiglier­a di Parità supplente della Lombardia dal 2012, allarga le braccia quando dice che lo scorso anno al suo ufficio è arrivata una manciata di segnalazio­ni. Le aziende hanno capito che devono fare la loro parte. Assolombar­da ha siglato un’intesa con Cgil, Cisl e Uil che impegna imprese e sindacati a favorire un percorso di tutela della dignità del lavoratore. Lo stesso ha fatto Confindust­ria. In Tribunale arrivano pochissime denunce: spesso i giudici le inquadrano sotto il «cappello» di violenza sessuale e maltrattam­enti in famiglia, perché in certi contesti piccoli i rapporti sono assimilabi­li a quelli di un nucleo familiare.

Perché poche denunce

Resta l’aspetto psicologic­o, difficile da circoscriv­ere. Chi non denuncia preferisce andarsene (22,4%), non ha fiducia nelle forze dell’ordine (22,1%), si vergogna, ha paura di essere giudicata o non essere creduta (14,6%). La psicologa Giovanna Castellina sottolinea che quello che succede alla psiche è importante, il lavoro fa parte della nostra identità, rappresent­a il nostro sostentame­nto. Proprio per questo, forse, nella ricerca di dati e storie abbiamo incontrato una resistenza che non trovammo neppure nel 2012, durante la precedente inchiesta della 27esima ora sulla violenza domestica. È arrivato il momento di andare oltre.

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In Tribunale arrivano pochissimi casi: spesso i giudici li inquadrano come violenza sessuale e maltrattam­enti in famiglia

Il 22,4% di chi non denuncia preferisce licenziars­i

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Al cinema Cristina Capotondi interpreta al cinema l’assistente di una casa di riposo che si ribella alle molestie sessuali del direttore sanitario. Il film è «Nome di donna», diretto da Marco Tullio Giordana e sceneggiat­o da Cristiana Mainardi, e...
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