Corriere della Sera

Grillo rompe il tabù di Genova (nei rioni rossi)

- Di Marco Imarisio

A un certo punto la teoria da mondo parallelo era sembrata l’unica spiegazion­e possibile per un fallimento così duraturo. M5S faceva apposta a sbagliare tutto lo sbagliabil­e nella città dove è nato perché Beppe Grillo temeva che eventuali delusi potessero suonare direttamen­te al citofono della sua villa sulle alture di Sant’ilario.

Genova era un tabù e una fonte continua di amarezze. Fin dal debutto. Alle Amministra­tive del 2012, il candidato pentastell­ato partì con il vento del nuovo nelle vele e si fermò al 14 per cento, escluso dal ballottagg­io. Nella tappa genovese dello Tsunami tour, preludio alle Politiche del 2013, Grillo giurò dal palco «che si sarebbe mangiato un cavallo» se non fosse arrivato primo. Arrivò secondo dietro al Pd. Il giorno peggiore fu il 14 ottobre 2014, quando il fondatore del Movimento scese nella sua città colpita dall’alluvione e venne accolto come fosse un qualunque esponente della «casta» da fischi e caldi inviti a spalare il fango invece di parlare.

Quel giorno sembrò che davvero il legame con la città si fosse spezzato. Alle Regionali del 2015 la scissione del centrosini­stra aveva fatto di M5S il favorito naturale. Ma Grillo affrontò quella campagna di malavoglia. Fece un solo comizio, in una piazza De Ferrari semivuota, lamentando­si dal palco per l’assenza dei giovani. Vinse il terzo incomodo, Giovanni Toti. Il disastro delle Amministra­tive dello scorso anno, con il ripudio della candidata uscita dalle primari

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