«Chi vuole il governo con M5S dovrà dirlo in direzione» Così Renzi vuole controllare l’elezione dei capigruppo
La tattica per gestire la partita in Parlamento Non parteciperà alle consultazioni, «ma non per sciare»
ROMA La notizia arriva nel pomeriggio e mette tutti in allarme: Matteo Renzi potrebbe non partecipare alla Direzione di lunedì prossimo. In realtà il segretario dimissionario non ha ancora deciso il da farsi, ma l’indiscrezione preoccupa i vari Franceschini, Delrio, Gentiloni, Martina, Minniti, cioè tutti gli esponenti della maggioranza del Pd che hanno preso le distanze dal leader. Viene letta come un atto ostile: un modo per evitare di farsi ingabbiare da quanti — e sono sempre di più — vogliono imporgli in quella riunione una gestione collegiale di qui a quando verrà eletto un successore di transizione (alla Epifani, per intendersi) o un segretario a tutti gli effetti, con le primarie.
La gestione collegiale non è contemplata dai renziani: meglio che il partito vada avanti con il presidente dell’assemblea nazionale Orfini sino al Congresso. Ma non è detto che riescano a reggere questa linea fino a lunedì. Il leader dimissionario sembra cadere dalle nuvole quando legge le dichiarazioni degli esponenti della fu maggio- ranza Pd sul suo conto: «Io sto fuori da tutto, che vogliono ancora da me?», ripete ai suoi prima di partire per la sua Firenze e non per andare a sciare, com’era stato detto. E aggiunge: «Non sono più una notizia, non sono più il leader, quello è Di Maio, io non esisto. Che cosa può interessare se vado o meno in Direzione? Non facciano finta che il problema sono io. Se invece la questione è un’altra, se vogliono fare l’accordo con i 5 Stelle o con la destra lo dicano in Direzione, ma non tirino più in ballo me».
Renzi si è convinto che una parte del Pd, per aiutare Mattarella in questa fase, sia pronto a fare un governo purchessia. E vuole impedirlo. È da giorni che si interroga su «quella sponda offerta a Di Maio dal Quirinale». E anche la discesa in campo di Carlo Calenda in questo senso insospettisce i renziani. Però il loro leader non sembra molto preoccupato e lo dice ai suoi: «Può darsi che voglia fare il segretario, anche se il suo aiuto alla lista della Bonino non è stato così decisivo...».
Per questa ragione, per «stoppare ogni tentazione inciucista» e perché, spiegano i renziani, «il Quirinale non vuole un Pd attestato sul no preventivo e molti al nostro interno potrebbero allinearsi», in Direzione verrà messo ai voti un ordine del giorno in cui si dice che il Partito democratico starà all’opposizione.
Ma la presenza o meno del leader uscente a quella riunione è importante: «Se non c’è lui salta tutto», dicono in quel pezzo della maggioranza che si è staccato da Renzi. Il segretario uscente appare sempre più isolato dentro il Pd, con Lorenzo Guerini e Matteo Orfini a fare da pontieri. E più di uno, tra i big dell’ex maggioranza interna, si sta convincendo che Renzi voglia farsi il suo partito, però lui nega. Quello a cui pensa piuttosto è un’associazione.
Ma c’è anche un’altra partita che si sta aprendo e riguarda l’elezione dei capigruppo di Camera e Senato: saranno loro ad andare alle consultazioni al Quirinale. E tra i parlamentari Renzi non è così isolato come tra i big del partito. Le liste le ha fatte lui e anche se non tutti i suoi sono stati eletti, visto il tracollo del Pd, comunque i gruppi sono a trazione renziana. Al Senato i numeri sono più che favorevoli al segretario dimissionario. Quasi tutto il gruppo è suo. E infatti circola il nome di Dario Parrini come possibile successore di Luigi Zanda alla presidenza. O, in alternativa, quello di Mauro Del Barba. Alla Camera i numeri sono diversi. I renziani di stretta osservanza sono poco più della metà. Ma Renzi non vuole forzare la mano. Quindi per quella presidenza si potrebbe giungere a un compromesso interno sul nome di Lorenzo Guerini. ● Gli oppositori interni chiedono però che si faccia da parte subito, per favorire la rifondazione