E il ministro (con autoironia) critica il partito delle élite: «Ma se salta, salta l’italia»
La spinta per l’addio al «blairismo di maniera»
ROMA In poche ore il tweet con cui Carlo Calenda annuncia la decisione di iscriversi al Pd per contribuire a risollevarlo è stato rilanciato 1.500 volte e ha ricevuto cinquemila «mi piace». Da Paolo Gentiloni in giù, dai vertici del partito sono piovuti solo complimenti. Eppure il ministro dello Sviluppo giura che no, non è sceso in campo per candidarsi alle primarie e giocarsi la partita della successione a Matteo Renzi. «Io segretario? Non esiste — ha risposto ieri ai tanti che lo hanno cercato, al telefono o via sms —. Non mi sto candidando a niente».
Se l’ex assistente di Montezemolo che Renzi definì «il fighetto di Confindustria» ha deciso di prendere la tessera nel momento più drammatico della storia del partito, è «per rafforzarlo» e convincere i delusi a tornare alla militanza. «Se salta il Pd non c’è più un argine e salta il Paese», è il senso della sua riflessione. La preoccupazione più grande del figlio di Cristina Comencini, 45 anni e quattro figli, oltre alla soluzione delle crisi aziendali e alla salvezza dei posti di lavoro è il populismo che avanza in Europa. Il ministro è convinto che sia successo anche in Italia «qualcosa di profondo», che deve spingere i dirigenti del Pd a stringere un’alleanza per salvare il salvabile. «Io non voglio creare altri casini — è il leitmotiv di Calenda —, vorrei contribuire a risolverli».
Lunedì ha assistito sgomento alla conferenza stampa di Renzi e trovato «fuori dal mondo» l’aver addossato la responsabilità della sconfitta a Gentiloni, che ha un gradimento doppio rispetto al segretario. E poi, ha commentato con i collaboratori, come si può rimproverare a Mattarella di non aver portato il Paese al voto nel 2017? Se il capo dello Stato avesse sciolto le Camere allora, con il problema delle banche aperto, «l’italia sarebbe saltata per aria».
Agli amici «Carletto» ha raccontato di non avere in mente alcuna campagna contro Renzi. Anzi, vista la situazione «fragilissima» del Pd, ha insistito sulla necessità di lavorare «tutti assieme, renziani compresi», come si fa
Il Pd ha dato la sensazione di essere il partito delle élite E lo dice uno che di élite se ne intende
con le crisi aziendali. Ma è chiaro che anche lui sia dalla parte di Gentiloni e di quanti stanno provando a convincere l’ex premier ad accettare una gestione collegiale, con un passaggio di consegne non traumatico.
A gennaio Calenda ha scritto con il segretario della Fimcisl Marco Bentivogli il piano per l’industria 4.0, che da molti è stato interpretato come un manifesto politico. Ma se in queste ore molti lo indicano come possibile successore di Renzi, lui continua a schermirsi: «Ho un altro lavoro, io». Eppure, sulla rinascita del Pd il ministro ha le idee molto chiare. Basta con il «blairismo di maniera», basta con un modo di comunicare «troppo ottimistico e semplicistico». L’aver tentato di esorcizzare le paure degli italiani senza capirle ha dato «la sensazione di essere un partito delle élite». E su Twitter, dove il Calenda-pensiero impazza, il ministro si è concesso una nota autoironica: «Lo dice uno che di élite se ne intende».