Uno timido e l’altro aggressivo Hanno svelato come decide la gente
Michael Lewis racconta Kahneman e Tversky, inventori dell’economia comportamentale (Cortina)
Il bel libro Un’amicizia da Nobel (Raffaello Cortina) di Michael Lewis racconta il sodalizio scientifico dei due alfieri della economia comportamentale, Daniel Kahneman e Amos Tversky, persone molto diverse. Il primo (tuttora vivente) è un ebreo europeo scampato, da bambino, all’olocausto. Il secondo era un sabra, cioè un ebreo autoctono temprato dalla vita in Israele, sempre in bilico sul precipizio. Il primo ha il pessimismo e la mancanza di hybris tipica degli ebrei perseguitati dal nazismo. Il secondo aveva l’ottimismo e l’aggressività degli ebrei che si sentono in grado di difendersi dal mondo, con la loro intelligenza e volontà. Kahneman è formale, compassato e timido. Tversky era informale, disinvolto e spavaldo.
A questo si aggiungeva soprattutto una profonda diversità scientifica. Il primo è uno psicologo empirico, interessato ai modelli del giudizio statistico, mentre il secondo era uno psicologo matematico, più attratto dal tema della razionalità della decisione. Ciò nonostante, negli anni Sessanta e Settanta queste diversità formarono un amalgama miracoloso che li portò a sfidare le tesi più radicate delle teorie sul giudizio e la decisione. Dapprima con il perfezionamento del concetto di euristica (già introdotto precedentemente da Polya e Simon, a significare scorciatoia del pensiero), per spiegare i bias (pregiudizi), demolirono la tesi, dominante a quei tempi, dell’uomo come statistico intuitivo. Ad esempio l’uomo, come il tacchino di Bertrand Russell, segue la legge dei piccoli numeri e tende a estrapolare leggi generali da pochi casi non rappresentativi.
Successivamente, collegandosi ad alcune anomalie della razionalità economica (come il Paradosso di Allais), diedero l’attacco al sancta sanctorum della teoria economica, la sua teoria della decisione come massimizzazione dell’utilità attesa. Con vari esperimenti dimostrarono che l’individuo, in condizioni di perdita, tende a essere più propenso al rischio, mentre è più avverso in condizioni di guadagno. Basta presentare lo stesso problema con una cornice diversa, di guadagno o di perdita, per far cambiare la propensione al rischio. Inoltre, per compensare la perdita di un euro sono necessari due euro di guadagno, poiché siamo avversi alle perdite, in quanto esse pesano, psicologicamente, più che i guadagni.
La curva dell’utilità è quindi concava nella regione dei guadagni e convessa nella regione delle perdite e la valutazione dell’utilità non è assoluta, ma in rapporto a un punto variabile di riferimento soggettivo. Era nata la teoria del prospetto.
Esiste però un’altra categoria di anomalie della ragione umana che sembrano non avere a che fare con la sfera razionale, ma con quella emozionale. Tversky, a differenza di Kahneman, è stato sempre restio a trattare la sfera dell’emozione. Mi ricordo Kahneman, nel 2005 alla Università di Milano Bicocca, che gli aveva assegnato la laurea honoris causa in economia. Egli, alla mia domanda sul perché i loro lavori avessero dimenticato di trattare la sfera emozionale, ormai riconosciuta importante per spiegare i limiti della razionalità, ammise che fu un errore dettato dalla moda metodologica del tempo. Le difficoltà a misurare l’emozione e testare empiricamente i fenomeni ad essa collegati la rendevano un oggetto poco attraente e popolare.
A mio parere la ragione vera, forse, era proprio il differente stile epistemologico di Tversky rispetto a Kahneman. Il primo era uno psicologo matematico che aveva l’obiettivo di rappresentare i fenomeni psicologici attraverso un linguaggio formale semplificato. Kahneman invece è uno psicologo empirico, non propenso a limitare la sua curiosità nel letto di Procuste della simbologia matematica. Il primo aveva bisogno di dati empirici certi e generali per formalizzare (e la teoria del prospetto rimane il suo principale capolavoro). Il secondo invece si è sempre sentito più libero di sondare spazi empirici inesplorati e caotici.
Infatti, un po’ per la loro separazione in due università distanti fra loro come Stanford e Vancouver, un po’ per la prematura morte di Tversky nel 1996, dalla fine degli anni Settanta in poi Kahneman si concentra sempre di più nello studio della componente affettiva ed emozionale nel giudizio e nella decisione. Suoi la teoria del rammarico (decidiamo onde evitare possibili rimpianti futuri per la nostra scelta), il contributo allo sviluppo della euristica affettiva (tendiamo a scegliere sulla base della etichetta affettiva), la messa in luce dell’importanza della salienza emozionale per l’accessibilità mentale di contenuti e immagini che determinano la nostra stima di probabilità e lo sviluppo della teoria sul dualismo della mente (divisa fra una parte intuitiva ed affettiva, e una razionale ed analitica).
Nella parte finale, il libro di Lewis, forse una delle migliori biografie scientifiche, parla anche dei critici e detrattori di Kahneman e Tversky. Fra questi, oltre ai nostalgici della economia neoclassica, la figura che emerge è Gerd Gigerenzer. A mio parere l’intensità esagerata e, direi, la ferocia di questa sfida ha aspetti di natura emozionale che sostengono, di fatto, una incomprensione reciproca di fondo, forse un po’ gratuita.
Non è vero, infatti, come sostiene Gigerenzer, che Kahneman e Tversky non ritengano che l’intuizione e le decisioni su base euristica siano, spesso, la strada migliore per realizzare una buona scelta. Non è vero, come sostengono Kahneman e Tversky, che Gigerenzer ritenga che la mente sia sempre in grado di dare risposte razionali rispetto ai compiti che affronta. Ciò che li distingue veramente è la norma, sulla cui base giudicare la razionalità delle decisioni. Per Kahneman e Tversky questa rimane la teoria della utilità, cara agli economisti, mentre per Gigerenzer, dato che viviamo in un mondo spesso imprevedibile, in cui questa norma non è applicabile, lo possono essere solo le imperfette e semplici regole euristiche (non quelle di Kahneman e Tversky però!).
Teoria del rammarico Decidiamo per evitare possibili rimpianti futuri circa la nostra scelta