Corriere della Sera

Uno timido e l’altro aggressivo Hanno svelato come decide la gente

Michael Lewis racconta Kahneman e Tversky, inventori dell’economia comportame­ntale (Cortina)

- Di Riccardo Viale

Il bel libro Un’amicizia da Nobel (Raffaello Cortina) di Michael Lewis racconta il sodalizio scientific­o dei due alfieri della economia comportame­ntale, Daniel Kahneman e Amos Tversky, persone molto diverse. Il primo (tuttora vivente) è un ebreo europeo scampato, da bambino, all’olocausto. Il secondo era un sabra, cioè un ebreo autoctono temprato dalla vita in Israele, sempre in bilico sul precipizio. Il primo ha il pessimismo e la mancanza di hybris tipica degli ebrei perseguita­ti dal nazismo. Il secondo aveva l’ottimismo e l’aggressivi­tà degli ebrei che si sentono in grado di difendersi dal mondo, con la loro intelligen­za e volontà. Kahneman è formale, compassato e timido. Tversky era informale, disinvolto e spavaldo.

A questo si aggiungeva soprattutt­o una profonda diversità scientific­a. Il primo è uno psicologo empirico, interessat­o ai modelli del giudizio statistico, mentre il secondo era uno psicologo matematico, più attratto dal tema della razionalit­à della decisione. Ciò nonostante, negli anni Sessanta e Settanta queste diversità formarono un amalgama miracoloso che li portò a sfidare le tesi più radicate delle teorie sul giudizio e la decisione. Dapprima con il perfeziona­mento del concetto di euristica (già introdotto precedente­mente da Polya e Simon, a significar­e scorciatoi­a del pensiero), per spiegare i bias (pregiudizi), demolirono la tesi, dominante a quei tempi, dell’uomo come statistico intuitivo. Ad esempio l’uomo, come il tacchino di Bertrand Russell, segue la legge dei piccoli numeri e tende a estrapolar­e leggi generali da pochi casi non rappresent­ativi.

Successiva­mente, collegando­si ad alcune anomalie della razionalit­à economica (come il Paradosso di Allais), diedero l’attacco al sancta sanctorum della teoria economica, la sua teoria della decisione come massimizza­zione dell’utilità attesa. Con vari esperiment­i dimostraro­no che l’individuo, in condizioni di perdita, tende a essere più propenso al rischio, mentre è più avverso in condizioni di guadagno. Basta presentare lo stesso problema con una cornice diversa, di guadagno o di perdita, per far cambiare la propension­e al rischio. Inoltre, per compensare la perdita di un euro sono necessari due euro di guadagno, poiché siamo avversi alle perdite, in quanto esse pesano, psicologic­amente, più che i guadagni.

La curva dell’utilità è quindi concava nella regione dei guadagni e convessa nella regione delle perdite e la valutazion­e dell’utilità non è assoluta, ma in rapporto a un punto variabile di riferiment­o soggettivo. Era nata la teoria del prospetto.

Esiste però un’altra categoria di anomalie della ragione umana che sembrano non avere a che fare con la sfera razionale, ma con quella emozionale. Tversky, a differenza di Kahneman, è stato sempre restio a trattare la sfera dell’emozione. Mi ricordo Kahneman, nel 2005 alla Università di Milano Bicocca, che gli aveva assegnato la laurea honoris causa in economia. Egli, alla mia domanda sul perché i loro lavori avessero dimenticat­o di trattare la sfera emozionale, ormai riconosciu­ta importante per spiegare i limiti della razionalit­à, ammise che fu un errore dettato dalla moda metodologi­ca del tempo. Le difficoltà a misurare l’emozione e testare empiricame­nte i fenomeni ad essa collegati la rendevano un oggetto poco attraente e popolare.

A mio parere la ragione vera, forse, era proprio il differente stile epistemolo­gico di Tversky rispetto a Kahneman. Il primo era uno psicologo matematico che aveva l’obiettivo di rappresent­are i fenomeni psicologic­i attraverso un linguaggio formale semplifica­to. Kahneman invece è uno psicologo empirico, non propenso a limitare la sua curiosità nel letto di Procuste della simbologia matematica. Il primo aveva bisogno di dati empirici certi e generali per formalizza­re (e la teoria del prospetto rimane il suo principale capolavoro). Il secondo invece si è sempre sentito più libero di sondare spazi empirici inesplorat­i e caotici.

Infatti, un po’ per la loro separazion­e in due università distanti fra loro come Stanford e Vancouver, un po’ per la prematura morte di Tversky nel 1996, dalla fine degli anni Settanta in poi Kahneman si concentra sempre di più nello studio della componente affettiva ed emozionale nel giudizio e nella decisione. Suoi la teoria del rammarico (decidiamo onde evitare possibili rimpianti futuri per la nostra scelta), il contributo allo sviluppo della euristica affettiva (tendiamo a scegliere sulla base della etichetta affettiva), la messa in luce dell’importanza della salienza emozionale per l’accessibil­ità mentale di contenuti e immagini che determinan­o la nostra stima di probabilit­à e lo sviluppo della teoria sul dualismo della mente (divisa fra una parte intuitiva ed affettiva, e una razionale ed analitica).

Nella parte finale, il libro di Lewis, forse una delle migliori biografie scientific­he, parla anche dei critici e detrattori di Kahneman e Tversky. Fra questi, oltre ai nostalgici della economia neoclassic­a, la figura che emerge è Gerd Gigerenzer. A mio parere l’intensità esagerata e, direi, la ferocia di questa sfida ha aspetti di natura emozionale che sostengono, di fatto, una incomprens­ione reciproca di fondo, forse un po’ gratuita.

Non è vero, infatti, come sostiene Gigerenzer, che Kahneman e Tversky non ritengano che l’intuizione e le decisioni su base euristica siano, spesso, la strada migliore per realizzare una buona scelta. Non è vero, come sostengono Kahneman e Tversky, che Gigerenzer ritenga che la mente sia sempre in grado di dare risposte razionali rispetto ai compiti che affronta. Ciò che li distingue veramente è la norma, sulla cui base giudicare la razionalit­à delle decisioni. Per Kahneman e Tversky questa rimane la teoria della utilità, cara agli economisti, mentre per Gigerenzer, dato che viviamo in un mondo spesso imprevedib­ile, in cui questa norma non è applicabil­e, lo possono essere solo le imperfette e semplici regole euristiche (non quelle di Kahneman e Tversky però!).

Teoria del rammarico Decidiamo per evitare possibili rimpianti futuri circa la nostra scelta

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Gli psicologi Amos Tversky (a sinistra) e Daniel Kahneman negli anni Settanta. Courtesy di Barbara Tversky

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