Parricidio e redenzione: Brook fa «recitare» i sentimenti
PARIGI In un posto imprecisato del mondo, un giovane uomo è seduto davanti alle mura di una prigione. Non sappiamo chi sia e perché si trovi in quella situazione, se è una sua scelta oppure se vi è costretto. Sappiamo solo che non può muoversi di lì. Ma a poco a poco la sua storia emerge dalla scena. Il giovane uomo è colpevole di parricidio e sta scontando la sua pena non dentro, ma davanti al carcere.
The prisoner si intitola il nuovo spettacolo di Peter Brook e di Marie-hélène Estienne che ha debuttato ieri sera al Théâtre des Bouffes du Nord di Parigi, e che nell’ottobre prossimo sarà al Teatro Vittoria di Roma nell’ambito del Festival Romaeuropa. «Ho conosciuto quel giovane molti anni fa durante un viaggio in Afghanistan — racconta il grande regista inglese, 93 anni — e questo testo teatrale scaturisce da un mia biografia, intitolata Dimenticare il tempo. Una storia familiare di dolore, di gelosia, di incesto: il ragazzo aveva scoperto il padre nel letto della sorella piccola e lo aveva ucciso. Una storia che aveva la necessità di essere raccontata». Ma perché il parricida si trova fuori e non dentro alla prigione? «Perché interviene in suo favore il maestro della confraternita di cui fa parte il giovane, affermando di conoscerlo, di sapere che è un bravo ragazzo e che potrà scontare la pena e purificarsi interiormente molto più restando fuori dal carcere, sia pure in una condizione di costrizione, piuttosto che venendo inserito in un contesto di criminali... si sa che le persone quando finiscono dietro le sbarre possono diventare peggio di prima, più cattive, bestiali, persino diventare terroristi. Per assurdo si può affermare che certi criminali trovano più facile vivere in prigione che fuori».
Nella scena spoglia agiscono cinque attori: Hiran Abeysekera, Ery Nzaramba, Omar Silva, Kalieaswari Srinivasan e Donald Sumpter. Non interpretano dei personaggi, ma dei sentimenti, indossando degli abiti che si ispirano alla giustizia, al perdono, al pentimento, alla reclusione e alla purificazione. «Non è necessario mettere in scena dei personaggi — afferma placido Brook, provato nel fisico di plurinovantenne ma con uno sguardo lucido e piglio autorevole —. Alla base del mio teatro deve esserci una storia da raccontare, che viene trasmessa direttamente all’immaginazione dello spettatore. Fare teatro è come parlare ai bambini, creando empatia tra il narratore e chi ascolta. E attraverso questo vicenda, vorrei trasmettere al pubblico il tema della redenzione».