Corriere della Sera

Governo, no del Pd al M5S

Salvini: noi pronti a guidare l’esecutivo. L’europa sull’italia: male debito e riforme Orlando: il 90% contrario al patto. Renzi lascia: Martina alla guida del partito

- di Maria Teresa Meli e Francesco Verderami

Lo si era più volte detto già prima del voto che la situazione sarebbe stata complicata, ma le elezioni, se possibile, hanno ulteriorme­nte ingarbugli­ato il quadro politico. Ci si muove su un campo minato. Trattative in stallo per l’elezione dei presidenti di Senato e Camera, primo vero banco di prova di possibili alleanze tra le forze politiche. Anche se il 90% dei democratic­i è contrario a un patto con i 5 Stelle. Renzi intanto è pronto a fare il passo indietro, il partito sarebbe così affidato a Maurizio Martina in attesa del rinnovo della segreteria.

Dopo i mesi di battaglia ROMA per la conquista dei voti e la parola d’ordine uguale per tutti — «Vinceremo e governerem­o noi» —, all’improvviso l’ipotesi di provare a formare un esecutivo sembra divenuta ustionante.

La nuova legge elettorale non ha potuto fornire al Paese un vincitore, e (in assenza di una proposta di governo di scopo o similari) le poche formule alchemiche necessarie per arrivare a una maggioranz­a imbarazzan­o tutte e tre le parti in gioco: i 5 Stelle, il centrodest­ra e il Pd. E quest’ultimo ieri, per bocca di Andrea Orlando, ha escluso «la possibilit­à di un governo con i 5 Stelle, o con il centrodest­ra; il 90% del partito è contrario».

Allo stallo sul governo si aggiungono i problemi interni. Nel centrodest­ra, che ha il maggior numero di deputati e di senatori, la Lega ha superato Forza Italia e intende sfilare lo scettro a Silvio Berlusconi. E ieri circolava una voce, poi smentita, che i due partiti si potrebbero recare separati alle consultazi­oni dal presidente della Repubblica: «Che si vada con una delegadell­a zione unica o delegazion­i separate, non importa — butta però acqua sul fuoco il leghista Massimilia­no Fedriga da Porta a Porta —. L’importante è dire la stessa cosa».

Dall’altra parte l’esito disastroso delle urne per il Pd ha scatenato la corsa alla presa dirigenza. Ieri Matteo Renzi ha dovuto rinunciare alla posizione annunciata lunedì: le sue dimissioni da segretario saranno esecutive da lunedì prossimo (durante la direzione) e non successive alla formazione del nuovo governo.

Chi sarà il nuovo leader? Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, neo tesserato pd, nega: «Presa di coscienza sul futuro del partito non resa dei conti su passato... Se cercano anti-renzi non sono io», afferma via Twitter. Così c’è chi appoggia l’idea renziana di primarie; chi spera in un traghettam­ento soft verso il congresso a opera del vicesegret­ario Maurizio Martina; e chi, come Andrea Orlando, invoca «una reggenza o gestione collegiale anche delle trattative con le altre forze politiche».

Il blocco

Le formule necessarie per la maggioranz­a imbarazzan­o tutte e tre le parti in gioco

E qui si torna al nodo delle alleanze per il governo. Nel Pd al momento prevale la linea «opposizion­e». I 5 Stelle ribadiscon­o di voler dialogare con chiunque, e incassano una sorta di gradimento da Confindust­ria e un’apertura dalla piccola pattuglia di Leu. Il centrodest­ra continua a rivendicar­e l’incarico da parte del Quirinale. Il leader leghista Matteo Salvini non ha dubbi sul fatto che spetti a lui. Anche se teme la trappola: «Incredibil­e che dopo un voto che ha cambiato il volto del Paese ci sia un governo delegittim­ato che mette mano a rinnovi di incarichi importanti e non urgenti — commenta infatti la proroga di un anno decretata da Paolo Gentiloni per i vertici dei servizi segreti —. Che vergogna. E mi insospetti­sce il silenzio dei 5 Stelle: non vorrei ci fosse un accordo Gentiloni-di Maio dietro l’angolo».

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