Governo, no del Pd al M5S
Salvini: noi pronti a guidare l’esecutivo. L’europa sull’italia: male debito e riforme Orlando: il 90% contrario al patto. Renzi lascia: Martina alla guida del partito
Lo si era più volte detto già prima del voto che la situazione sarebbe stata complicata, ma le elezioni, se possibile, hanno ulteriormente ingarbugliato il quadro politico. Ci si muove su un campo minato. Trattative in stallo per l’elezione dei presidenti di Senato e Camera, primo vero banco di prova di possibili alleanze tra le forze politiche. Anche se il 90% dei democratici è contrario a un patto con i 5 Stelle. Renzi intanto è pronto a fare il passo indietro, il partito sarebbe così affidato a Maurizio Martina in attesa del rinnovo della segreteria.
Dopo i mesi di battaglia ROMA per la conquista dei voti e la parola d’ordine uguale per tutti — «Vinceremo e governeremo noi» —, all’improvviso l’ipotesi di provare a formare un esecutivo sembra divenuta ustionante.
La nuova legge elettorale non ha potuto fornire al Paese un vincitore, e (in assenza di una proposta di governo di scopo o similari) le poche formule alchemiche necessarie per arrivare a una maggioranza imbarazzano tutte e tre le parti in gioco: i 5 Stelle, il centrodestra e il Pd. E quest’ultimo ieri, per bocca di Andrea Orlando, ha escluso «la possibilità di un governo con i 5 Stelle, o con il centrodestra; il 90% del partito è contrario».
Allo stallo sul governo si aggiungono i problemi interni. Nel centrodestra, che ha il maggior numero di deputati e di senatori, la Lega ha superato Forza Italia e intende sfilare lo scettro a Silvio Berlusconi. E ieri circolava una voce, poi smentita, che i due partiti si potrebbero recare separati alle consultazioni dal presidente della Repubblica: «Che si vada con una delegadella zione unica o delegazioni separate, non importa — butta però acqua sul fuoco il leghista Massimiliano Fedriga da Porta a Porta —. L’importante è dire la stessa cosa».
Dall’altra parte l’esito disastroso delle urne per il Pd ha scatenato la corsa alla presa dirigenza. Ieri Matteo Renzi ha dovuto rinunciare alla posizione annunciata lunedì: le sue dimissioni da segretario saranno esecutive da lunedì prossimo (durante la direzione) e non successive alla formazione del nuovo governo.
Chi sarà il nuovo leader? Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, neo tesserato pd, nega: «Presa di coscienza sul futuro del partito non resa dei conti su passato... Se cercano anti-renzi non sono io», afferma via Twitter. Così c’è chi appoggia l’idea renziana di primarie; chi spera in un traghettamento soft verso il congresso a opera del vicesegretario Maurizio Martina; e chi, come Andrea Orlando, invoca «una reggenza o gestione collegiale anche delle trattative con le altre forze politiche».
Il blocco
Le formule necessarie per la maggioranza imbarazzano tutte e tre le parti in gioco
E qui si torna al nodo delle alleanze per il governo. Nel Pd al momento prevale la linea «opposizione». I 5 Stelle ribadiscono di voler dialogare con chiunque, e incassano una sorta di gradimento da Confindustria e un’apertura dalla piccola pattuglia di Leu. Il centrodestra continua a rivendicare l’incarico da parte del Quirinale. Il leader leghista Matteo Salvini non ha dubbi sul fatto che spetti a lui. Anche se teme la trappola: «Incredibile che dopo un voto che ha cambiato il volto del Paese ci sia un governo delegittimato che mette mano a rinnovi di incarichi importanti e non urgenti — commenta infatti la proroga di un anno decretata da Paolo Gentiloni per i vertici dei servizi segreti —. Che vergogna. E mi insospettisce il silenzio dei 5 Stelle: non vorrei ci fosse un accordo Gentiloni-di Maio dietro l’angolo».