«Apologia Isis su Facebook» Per nove post e alcuni like
All’inizio, condannare gli attentatori; poi chi prepara un attentato, poi chi partecipa a preparativi, poi quelli che evocano un progetto, poi chi finanzia, poi quelli che cercano di arruolare futuri proseliti, poi chi propaganda viaggi all’estero con finalità di terrorismo, poi quelli che addestrano, poi quelli che si autoaddestrano, poi quelli che sulle piattaforme Internet istigano a commettere attentati, e infine chi condivide su Facebook (commentandoli con post o diffondendoli con like) video o foto interpretabili pro-isis. E se è indubbio che Internet sia la principale «palestra» jihadista, e se è vero che gli ultimi attentati nel mondo mostrano quanto si sia accorciato il tempo tra l’esposizione alla propaganda jihadista online e l’attivazione dell’attentatore fai-da-te, è
Punibilità
Il terrorismo corre su Internet ma ormai la punibilità è sempre più anticipata
anche vero che la soglia di risposta penale alle condotte potenzialmente «terroristiche» va via via sempre più anticipandosi. Così, ad esempio, ieri a Milano la Corte d’assise (presidente Ilio Mannucci Pacini, a latere Ilaria Simi de Burgis, la stessa Corte che sui diritti civili sottesi al caso Cappato ha trasmesso gli atti alla Consulta) ha condannato per apologia di reato con finalità di terrorismo a 2 anni e 4 mesi (poco meno dei 3 anni e mezzo chiesti dal pm Paola Pirotta) il 35enne marocchino Omar Nmiki, peraltro già da un anno in custodia cautelare nel supercarcere sardo di Bancali. Per cosa? Per avere messo su Facebook 9 post in 10 mesi (più alcuni like e condivisioni) che «fomentavano sentimenti di esaltazione della jihad e del martirio». Tutto in linea con alcune decisioni, sul tema, di Tribunali (Caltanissetta in una condanna per 2 video) o Cassazione (in sede cautelare su un caso di Brescia). Nel caso di ieri i post non apparivano nitidamente apologetici, a vederli, ma nel complesso sono stati ritenuti tali dalla Corte, specie se sommati ai contatti di Nmiki con due indagati di Perugia (uno espulso e uno arrestato per accuse più corpose), e alla sua cautela nell’uso del telefono (più legata, però, al suo essere spacciatore). «Il post più grave — estremizza il legale Sandro Clementi — è “i cristiani sono ciarlatani”: si può condannare per questo?».