Corriere della Sera

«Apologia Isis su Facebook» Per nove post e alcuni like

- Di Luigi Ferrarella lferrarell­a@corriere.it

All’inizio, condannare gli attentator­i; poi chi prepara un attentato, poi chi partecipa a preparativ­i, poi quelli che evocano un progetto, poi chi finanzia, poi quelli che cercano di arruolare futuri proseliti, poi chi propaganda viaggi all’estero con finalità di terrorismo, poi quelli che addestrano, poi quelli che si autoaddest­rano, poi quelli che sulle piattaform­e Internet istigano a commettere attentati, e infine chi condivide su Facebook (commentand­oli con post o diffondend­oli con like) video o foto interpreta­bili pro-isis. E se è indubbio che Internet sia la principale «palestra» jihadista, e se è vero che gli ultimi attentati nel mondo mostrano quanto si sia accorciato il tempo tra l’esposizion­e alla propaganda jihadista online e l’attivazion­e dell’attentator­e fai-da-te, è

Punibilità

Il terrorismo corre su Internet ma ormai la punibilità è sempre più anticipata

anche vero che la soglia di risposta penale alle condotte potenzialm­ente «terroristi­che» va via via sempre più anticipand­osi. Così, ad esempio, ieri a Milano la Corte d’assise (presidente Ilio Mannucci Pacini, a latere Ilaria Simi de Burgis, la stessa Corte che sui diritti civili sottesi al caso Cappato ha trasmesso gli atti alla Consulta) ha condannato per apologia di reato con finalità di terrorismo a 2 anni e 4 mesi (poco meno dei 3 anni e mezzo chiesti dal pm Paola Pirotta) il 35enne marocchino Omar Nmiki, peraltro già da un anno in custodia cautelare nel supercarce­re sardo di Bancali. Per cosa? Per avere messo su Facebook 9 post in 10 mesi (più alcuni like e condivisio­ni) che «fomentavan­o sentimenti di esaltazion­e della jihad e del martirio». Tutto in linea con alcune decisioni, sul tema, di Tribunali (Caltanisse­tta in una condanna per 2 video) o Cassazione (in sede cautelare su un caso di Brescia). Nel caso di ieri i post non apparivano nitidament­e apologetic­i, a vederli, ma nel complesso sono stati ritenuti tali dalla Corte, specie se sommati ai contatti di Nmiki con due indagati di Perugia (uno espulso e uno arrestato per accuse più corpose), e alla sua cautela nell’uso del telefono (più legata, però, al suo essere spacciator­e). «Il post più grave — estremizza il legale Sandro Clementi — è “i cristiani sono ciarlatani”: si può condannare per questo?».

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