Corriere della Sera

Il cooperante ucciso in un raid della Cia Il giudice: «Gli Usa aprano i loro archivi»

La morte di Lo Porto nel 2015 in Pakistan

- Di Giovanni Bianconi (Ansa)

Sotto i colpi di un’operazione antiterror­ismo americana è caduto un cittadino italiano, e adesso un giudice italiano chiede di aprire gli archivi segreti statuniten­si per cercare le responsabi­lità di quella morte; certamente involontar­ia, ma forse evitabile. È infatti possibile, ipotizza il magistrato, che il cooperante palermitan­o Giovanni Lo Porto, sequestrat­o in Pakistan da una banda vicina ad Al Qaeda nel gennaio 2012 e ucciso tre anni dopo durante un raid della Cia insieme all’altro ostaggio americano Warren Weinstein e a quattro presunti terroristi, sia stato vittima di un’azione illegale compiuta dal controspio­naggio Usa.

Il cadavere di Lo Porto fu ritrovato fra i resti di ciò che in gergo militare si chiama target killing: un omicidio mirato rivolto a obiettivi da eliminare (in questo caso i terroristi), che secondo il giudice delle indagini preliminar­i di Roma equivale «dal punto di vista giuridico, a quello commesso mediante una bomba strategica­mente piazzata o l’utilizzo di un cecchino».

Prima di tirare il grilletto, o in questo caso di lanciare un drone-bomba, è necessario «un certosino lavoro di intelligen­ce» per essere sicuri di ciò che si va a colpire, poiché l’intervento è legittimo solo se «condotto e pianificat­o in modo da minimizzar­e il rischio di colpire civili o danneggiar­e obiettivi civili».

Di qui la decisione di respingere la richiesta di archiviazi­one avanzata dalla Procura di Roma, e l’ordine — firmato dal giudice Anna Maria Gavoni — di chiedere agli Stati Uniti, tramite una rogatoria internazio­nale, «tutta la documentaz­ione riguardant­e l’operazione condotta, mediante l’impiego di droni, tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 sul compound di jihadisti legati ad Al Qaeda, situato in zona tribale al confine tra il Pakistan e l’afghanista­n, ove erano tenuti in ostaggio i cooperanti Lo Porto e Weinstein». Il giudice vuole le carte sui monitoragg­i effettuati dalla Centrale antiterror­ismo della Cia sul caseggiato divenuto bersaglio da colpire; su quello che fu fatto quando si scoprì che oltre ai guerriglie­ri jihadisti erano stati uccisi anche due civili occidental­i; sulle indagini svolte negli Usa per accertare che gli altri morti fossero effettivam­ente terroristi; sui nomi di chi «ha coordinato il monitoragg­io del compound, gestito e autorizzat­o gli strikes», cioè il bombardame­nto con i droni.

In pratica il magistrato chiede che la Cia apra i suoi archivi e sveli i retroscena dell’operazione antiterror­ismo svolta in Pakistan. Una soglia fin qui sbarrata sulla quale si era fermato il pubblico ministero di Roma Erminio Amelio, dopo aver chiesto al Ros dei carabinier­i di acquisire dalle autorità americane «tutte In Pakistan Giovanni Lo Porto, il cooperante di origini palermitan­e morto a 38 anni in Pakistan. Era stato rapito nel 2012 da Al Qaeda, è morto tre anni dopo durante un blitz americano nel covo dei terroristi le informazio­ni in loro possesso» sull’operazione che portò alla morte di Lo Porto. Gli Stati Uniti non hanno risposto e il pm aveva proposto l’archiviazi­one del fascicolo, ritenendo in ogni caso difficile ipotizzare i reati di omicidio volontario o anche solo di omicidio colposo.

I familiari del cooperante italiano, assistiti dallo studio legale dell’avvocato Andrea Saccucci (lo stesso che ha perorato la causa di Berlusconi alla Corte europea dei diritti umani sulla decadenza da senatore) si sono opposti prospettan­do eventuali responsabi­lità della Cia. Anche dopo le scuse presentate dall’ex presidente Barack Obama, che si assunse la responsabi­lità dell’accaduto in prima persona, a cui seguì la consegna ai familiari di Lo Porto di un assegno da un milione di dollari per chiudere il caso. Ma gli avvocati rivendican­o «la natura illecita secondo il diritto internazio­nale dei target killings», tanto più se condotti da un’agenzia civile come la Cia, nell’ambito di un’attività antiterror­ismo «che non può assolutame­nte essere fatta rientrare nella nozione di conflitto internazio­nale».

Il giudice ha accolto la richiesta di nuove indagini, sottolinea­ndo che in ogni caso «la protezione accordata ai diritti umani, e in primis il diritto alla vita, non cessa in tempo di guerra». E ordina al pm di tornare alla carica per chiedere notizie alla Cia, organismo segreto per eccellenza. Come se rifiutasse la dichiarazi­one di resa di fronte alle informazio­ni negate. Con quali risultati, però, è tutto da vedere. La scheda

● Giovanni Lo Porto, palermitan­o, operatore umanitario, viene ucciso, a 38 anni, a Wacha Dara (in Pakistan, dove lavorava per una Ong tedesca) nel gennaio 2015

● Lo Porto era stato rapito da Al Qaeda il 19 gennaio 2012 assieme a un collega tedesco, Bernd Muehlenbec­k, poi liberato in Afghanista­n, il 10 ottobre 2014

● Il 15 gennaio 2015 Lo Porto e Warren Weinstein, altro rapito di nazionalit­à americana, muoiono nell’attacco di un drone Usa che aveva come obiettivo un dirigente di Al Qaeda

● Il 22 aprile 2015 la comunicazi­one ufficiale di Obama a Renzi che Lo Porto è morto

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